Là dove le Prealpi si smorzano nel piano, in una lucente prateria di sassi bianchi che invade il greto del fiume, sorge Maniago. Un fluire di pietre che si riversano nei magredi e le steppe che caratterizzano un territorio paradossalmente piovoso e ricco di acque, segnano un territorio duro e aspro ma allo stesso tempo affascinante per la sua selvaggia natura.
I ghiacci e la neve che ricoprono le vette delle Dolomiti Friulane, si sciolgono in rivoli e torrenti che vanno a confluire nel Cellina e nel Meduna disegnando un territorio dove l’acqua scorre silenziosa e nascosta, per poi riemergere in pozze e rigagnoli fra i greti bianchi di queste terre magre. Una vita dura e inospitale fra i sassi e l’acqua ha spinto le genti del luogo, forti e laboriose a industriarsi con i mestieri artigianali e le arti meccaniche che hanno poi diffuso in tutto il mondo. Le prime migrazioni han visto le donne che intrepide si spostavano in tutta l’Italia del Nord vendendo le “cucchiarelle” o le “scarpetes” preparate durante l’inverno e, gli uomini valenti falegnami, tagliapietre e muratori, cavatori e terrazzieri, portare nel mondo l’arte del mosaico e della pavimentazione; quando alla vigilia della prima guerra mondiale gli emigranti trovarono chiuse le frontiere dei paesi esteri, applicarono le loro capacità nella realizzazione della linea ferroviaria Pinzano – Sacile. Lavorarono alla costruzione di ponti, edifici, infrastrutture, sistemi di sicurezza e segnalamento fino al 1930 e subito dopo divennero i primi passeggeri di questo treno che li portava a lavorare nelle fabbriche lontano da casa. I treni merci conducevano nei mercati di destinazione legname, foraggi e i prodotti delle officine maniaghesi. Per leggere e comprendere questo territorio, i suoi paesaggi e le storie locali che si intrecciano in vari percorsi, bisogna visitare il Museo dell’arte Fabbrile e delle Coltellerie che si trova nel ex Stabilimento Co.Ri.Ca.Ma, una testimonianza di archeologia industriale dove nel 1907 aveva sede il primo grande impianto manifatturiero per la fabbricazione di lame a Maniago.
La storia dei fabbri maniaghesi ha inizio nel 1454, quando Nicolò di Maniago avvia la deviazione di una roggia dal torrente Colvera per alimentare i battiferri, le officine dove si costruivano attrezzi agricoli e armi per la Repubblica di Venezia; nel Settecento la produzione si affina con oggetti da taglio più piccoli ma di maggior precisione e le botteghe degli artigiani si moltiplicano in tutto il paese. Agli inizi del ‘900 nascono le prime grandi fabbriche di coltelli che faranno di Maniago a tutt’oggi la capitale italiana degli strumenti da taglio. Tanti sono i protagonisti che hanno fatto grande il nome delle coltellerie locali e che con il loro impegno e arte continuano a portare avanti la tradizione
Maniago, nella sua elegante veste storica sorge all’imboccatura della Val Cellina e la Val Colvera. Alle sue spalle il monte Jouf gli fa da cornice e a sud vede l’estendersi dell’ampia superficie dei Magredi. La città si è sviluppata intorno al suo fulcro principale, la Piazza Italia una delle più grandi del Friuli; il Municipio, la Loggia, il Palazzo d’Attimis e la Chiesa dell’Immacolata sono i palazzi storci che la delimitano mentre al centro campeggia la grande fontana ottocentesca che segna, con le sue vasche e scalinate i quattro punti cardinali. Dedicato a San Mauro Martire vescovo di Parenzo, il Duomo è un edificio di grande valore artistico e storico risalente al 1488, ma sicuramene costruito sui resti di un precedente edificio di culto molto più antico; la facciata chiara e semplice esaltata da un grande rosone ricamato, la torre campanaria, il portale a sesto acuto, le tre cappelle absidali e la pala con il Redentore in Gloria di Pomponio Amalteo, sono un bel tesoro chiuso in un angolo della piazza centrale. Simbolo del casato di Maniago, il Palazzo d’Attimis è un complesso risalente al XVIII secolo, contraddistinto sulla facciata da un affresco raffigurante il leone marciano, a testimonianza del lungo dominio veneziano.
Il lavoro inesauribile delle acque ha creato nel corso dei millenni un incredibile canyon dall’aspetto spettacolare. Nell’affascinante cornice naturalistica del Parco delle Dolomiti Friulane, la Riserva Naturale della Forra del Cellina, presenta un capolavoro che si erge negli spazi aperti dal fiume dove la pietra bianca, le ripide pareti striate di roccia calcarea e le profonde incisioni danno vita a marmitte, sotto escavazioni e rocce levigate dai colori lucenti. La grande forza d’incisione del Cellina ha scavato nel cuore della montagna fra Barcis e Montereale, prima del suo sbocco nell’alta pianura pordenonese, dando vita a un paesaggio quasi surreale; fra alti picchi a strapiombo ricamati come tovaglie di lino dalle acque meteoriche, dal gelo e disgelo e dalla gravità si sono creati greti con massi, ciottoli e sabbie chiare come spiagge caraibiche. Questo ambito naturalistico è percorso dalla “vecchia strada”, un suggestivo tracciato nato nei primi del Novecento come strada di cantiere per la costruzione della diga e del canale di alimentazione della centrale idroelettrica; rappresentò la prima strada di collegamento tra la valle e la pianura fino agli inizi degli anni ’90. Per la sua ardita panoramicità, la strada ormai utilizzata per fini turistici è scavata in galleria e in alcuni tratti presenta affacci panoramici sulla voragine punteggiata dal turchese delle anse e laghetti che si formano sul fondo. Sospeso sul canyon il “ponte tibetano” congiunge le due alti pareti di roccia e si stende nella sua struttura di acciaio per circa cinquanta metri a un’altezza di venti.
Percorrerlo è un’esperienza inebriante, il panorama è avvolgente e si ha come la sensazione di volare sopra le acque del torrente, vibrandosi nell’aria fra le alte pareti del canyon.
Belli i paesi stretti fra i monti in queste valli, sopravvissuti all’incombere delle acque che mantengono il significato delle loro antiche tradizioni rurali; fra questi si conta Andreis, circondato da uno splendido territorio montano e le sue case di sassi dai particolari ballatoi in legno scuro, lo rendono un luogo di pace e tranquillità in pieno accordo con la natura circostante. Nella piazza centrale si trova il Museo dell’Arte e della Civiltà Contadina, in cui sono esposti oggetti della vita comune che nel passato ha segnato gli usi e costumi locali. Raganelle pasquali, i pettini d’osso, gli zoccoli in legno, i merletti e gli attrezzi del fabbro, sono tutti oggetti che esprimono lo stile di vita di questo popolo che ha fatto del lavoro e del rapporto, spesso difficile con la terra, i simboli della propria civiltà
Come un presepe incantato Poffabro è un gioiello aggrappato alla montagna, dove tutto è pace e armonia. Classificato come uno dei borghi più belli d’Italia, i suoi vicoli risplendono dei colori cangianti delle pietre dei muri delle case, dalle fogge tipiche dell’architettura friulana di montagna. In piena armonia con la natura circostante, Poffabro domina dall’alto come un nido d’aquila, la Val Colvera e ne mantiene stretto il suo cuore antico, preservando la ricchezza di tradizioni mai dimenticate.
Ogni dicembre tutte le nicchie e i balconi delle case ospitano un presepe e passeggiando tra le vie del borgo si rivive in modo autentico tutta la magia del Natale.
Menù d’autore e vini di prim’ordine al Ristorantino Montenegro in Piazza Italia, dove i gusti e i sapori delle terre friulane sono proposti a pochi intimi commensali.
Per maggiori informazioni:
www.turismofvg.it – www.maniago.it
www.parcodolomitifriulane.it – www.riservaforracellina.it
www.ecomuseolisaganis.it/it – www.borghipiubelliditalia.it/
www.museocoltellerie.it – www.albergomontenegro.it
Contributi fotografici di Stefania Mezzetti