Riconoscere ed apprezzare le birre: un viaggio tra produzioni e categorie per ampliare le conoscenze
di Leandro Candotto
Succede di frequente nei pub e nelle birrerie italiane di sentir parlare in maniera confusa di birre d’abbazia, birre trappiste, birre prodotte in un monastero e così via. Se vi sono rari casi in cui il motivo è un barista che spera in questo modo di allentare i cordoni della borsa del cliente, nella maggior parte degli errori vi è soltanto una scarsa informazione su quanto siano specifiche le denominazioni delle birre belga (per la maggior parte) provenienti dall’ambiente ecclesiastico. Tre sono infatti le categorie strettamente codificate: birre d’abbazia, birre d’abbazia riconosciute e birre trappiste. In questa suddivisione, è bene notarlo, non vi è assolutamente nulla di relativo alle caratteristiche organolettiche della bevanda. Quello che conta sono il luogo e le modalità di produzione della birra.
Birre d’abbazia
Questo è il nome generalmente dato a tutte quelle produzioni brassicole che possono far risalire la loro tradizione o quanto meno la loro posizione geografica ad un’abbazia, ancora esistente o meno. In questo caso non si tratta di una denominazione protetta in alcun modo, ma il caso di una birra che si definisce d’abbazia senza fondato motivo è estremamente raro. Nomi come Abbaye des Rocs, Corsendonk (prodotta dalla Du Bocq), Florival (Affligem) o Triple Karmeliet sono ovunque sinonimo di qualità e tradizione. Ma non esistono soltanto birre d’abbazia che provengono dal Belgio, per quanto questo Paese rimanga quello di riferimento. Una decina di esse sono prodotte in Francia, due in Olanda (Capucijn Abdij Bier e Dominus) e una in Canada (Rigor Mortis Abt).
Birre d’abbazia riconosciute
Per avere il diritto di utilizzare il marchio di birra d’abbazia belga, invece, un birrificio deve sottostare a precisi requisiti fissati dall’UBB, l’unione dei birrai del Belgio. Perché la birra abbia il riconoscimento deve avere un legame stretto con un’abbazia, in attività o presente nel passato, il birrificio deve pagare dei diritti per il finanziamento di opere caritatevoli all’abbazia e i monaci debbono avere il diritto di controllare alcuni aspetti dell’attività del birrificio. Di conseguenza la qualifica di birra d’abbazia riconosciuta è stata concessa soltanto a ventitré marchi belgi. Le più di novanta birre da questi prodotte, però, cambiano moltissimo e vi è poca uniformità anche nelle modalità di produzione: se due di questi birrifici producono ancora sul terreno dell’abbazia (Val Dieu e Abbaye d’Aulne), molti degli altri brassano molto lontano da essa, come la Leffe, nata a Dinant e ora prodotta nel Brabante fiandrino. Nonostante questo, il simbolo del bicchiere di birra davanti alla vetrata rappresenta un sicuro segno di qualità , come testimoniato dalla fama raggiunta dai nomi di alcune bières d’abbaye riconosciute, come quelle citate sopra, Abbaye de Bonne-Espérance, Floreffe, Grimbergen, Maredsous o Saint-Feuillien.
Birre trappiste
Tra le tre la definizione più restrittiva è certamente quella di birra trappista. Essa è infatti difesa congiuntamente dall’UBB e dall’ITA, l’International Trappist Association. È una birra trappista solo quella prodotta dai monaci o sotto la loro supervisione all’interno delle mura del monastero, nel quale deve essere però in subordine alla vita spirituale. In più l’attività non deve essere a scopo di lucro, con tutto il ricavato, rimanente dopo la copertura delle spese, donato in beneficienza. In parallelo l’ITA garantisce la qualità della birra e degli altri prodotti dei monasteri che recano il marchio esagonale marrone con un gran numero di controlli. Molto pochi sono quindi i birrifici in grado di vantare questo riconoscimento per il loro prodotto, soltanto dieci, con un undicesimo che lotta per farsi riconoscere. Il monastero di Mont des Cats in Francia usa il marchio ITA per i suoi formaggi, ma non può ancora farlo per la sua birra, prodotta dalla Chimay. Degli altri birrifici due si trovano nei Paesi Bassi (De Koningshoeven, birrificio de La Trappe e Maria Toevlucht, dove si produce la Zundert), uno negli Stati Uniti (St. Joseph’s), uno in Austria (Stift Engelszell) e sei in Belgio (Rochefort, Westmalle, Westvleteren, Chimay, Orval e Sint-Benedictusabdij de Achelse Kluis, luogo di produzione della Achel). Tutti questi birrifici differiscono molto quanto a varietà prodotte (anche se dominano stili ad alta fermentazione, di tradizione belga come Tripel e Dubbel), volumi di produzione (dalla ridotta produzione di Achel ai 123.000 hL annui di Chimay), ma sono accomunati dall’alta qualità e dall’alto valore sociale del loro metodo di produzione.
Per approfondire l’argomento
Oltre ai siti dei birrifici, per ampliare le proprie conoscenze su birre trappiste e d’abbazia sono utili il sito dei Belgian Brewers (http://belgianbrewers.be/) e quello dell’International Trappist Association (http://www.trappist.be/). Entrambi sono molto ben costruiti per il pubblico e non condividono con alcuni siti di birrifici la debolezza della parte in inglese. Per un approfondimento molto più tecnico, invece, è un testo imprescindibile STAN HIERONYMUS, Brew like a monk, Boulder (USA), brewers publications, 2005.
Nulla però batte una visita alle abbazie ed ai monasteri, soprattutto se si ha la fortuna di poter assistere alla birrificazione, cosa possibile, ad esempio, ad Achel www.achelsekluis.org