In Birmania in cerca di leopardi, tigri e porcospini
di Sahara Sebastiani
Mistica, affascinante, misteriosa: gli aggettivi si sprecano quando si parla della Birmania, terra di cultura antica e di tradizioni millenarie, dove si intrecciano i destini di etnie diverse e dove l’incanto di una natura generosa ammanta ritmi di vita semplici costantemente improntati alla spiritualità . E anche dove, nell’intrico miracolosamente ancora intatto di foreste vergini, sono in allerta elefanti, tigri, leopardi, scimmie, porcospini, orsi, serpenti… Chi sogna di andarci fa bene a sognare: il viaggio sarà di quelli che è impossibile dimenticare. Per millenni, il nome della Birmania e quello di un suo fiume, l’Irrawaddy, sono stati usati quasi come sinonimi. E non era poi così sbagliato: il fiume, infatti, attraversa il Paese per 2.170 chilometri ed è un po’ la linfa vitale che ne permette la sopravvivenza, è il centro della coltivazione del riso, da sempre fulcro dell’economia birmana.
Tanti buoni motivi per andarci
Di ragioni per visitare la Birmania ce ne sono tante, e tutte, anche prese singolarmente, giustificano il viaggio e la spesa. A cominciare dal fatto che è uno dei Paesi meno occidentalizzati del mondo grazie alle politiche di chiusura attuate praticamente fino a non molti anni fa. È una fucina di sorprese che suscita emozioni profonde, umane ed estetiche, in cui si fondono arte, spiritualità e tradizioni dal fascino esotico. Ci si può incantare davanti alla cupola d’oro di Shwedagon o ascoltando le preghiere dei monaci e dei pellegrini. E lo stesso incanto affiora sulle rive del lago Inle, ammirando l’abilità dei pescatori Intha che spingono la barca con un remo manovrato con la gamba, o quando ci si abbandona allo spettacolo di un tramonto sul fiume Irrawaddy, mentre il sole tinge di rosso cupo le acque, gli stupa e le pagode. Ma c’è anche qualcosa di diverso, in un certo senso di più profondo che contraddistingue sempre una vacanza in Birmania: infatti, è inevitabilmente anche un viaggio dello spirito in una terra dove il concetto di religiosità non è mai vissuto in modo cupo, ma gioioso, sereno, disteso.
Nel regno degli animali
Se lo straordinario patrimonio di tesori architettonici lascia senza fiato, lo stesso si può dire quando il visitatore scopre le meraviglie naturali celate nel fitto delle foreste vergini birmane, un Eden incontaminato per la ricca fauna selvaggia che le popola. In Birmania vivono leopardi, tigri, cervi rossi, bufali, orsi himalayani e orsi malesi, elefanti, cinghiali, scimmie di diverse specie, capre di montagna e persino rinoceronti. Non mancano neppure scoiattoli volanti, porcospini, civette e una grandissima varietà di uccelli di tante specie, comuni e non. Inoltre, in una terra tanto ricca d’acqua, non stupisce che abbondino insetti e rettili. Anzi: sono proprio i serpenti che rappresentano uno dei pericoli più temuti dalla popolazione indigena, anche se le aree in cui è più facile incontrare esemplari velenosi sono essenzialmente i litorali dei fiumi della zona arida e il delta dell’Irrawaddy. La specie in assoluto più pericolosa è la cosiddetta vipera di Russel, che localmente viene chiamata mwe-boai, la cui aggressività incontenibile si esplica in attacchi improvvisi al puro scopo di uccidere la vittima. Altrettanto pericoloso, comunque, è anche il cobra reale asiatico, se non altro per le sue impressionanti dimensioni: da adulto, infatti, la sua lunghezza può toccare addirittura i cinque metri e mezzo. Discorso a parte per gli animali che, solitamente, vengono definiti domestici. In parte anche per motivi religiosi (non dimentichiamo che i buddisti osservanti, cioè la maggioranza della popolazione birmana, non uccidono gli animali nemmeno per cibarsene), sono veramente pochi gli animali che vengono addomesticati: i Mon allevano mucche, polli e cani, e alcune tribù Karen si sono specializzate nell’allevamento dei cavalli. Per il resto, però, gli unici animali che vengono comunemente allevati sono quelli destinati alle funzioni di trasporto dei carichi: elefanti (soprattutto in montagna), buoi (nelle zone aride) e bufali (in quelle maggiormente umide). E non dimentichiamo che la Birmania dà il nome a uno dei gatti più amati dagli occidentali, il gatto birmano, appunto, bellissimo con quel suo manto corto e bruno.
In onore del pesce-gatto
C’è una curiosità che, chi visiterà la città di Syriam, non dovrebbe lasciarsi scappare. Con un viaggio in jeep o in bus che non dura più di 45 minuti, si può arrivare fino a un imbarcadero sulle sponde di un affluente del fiume Rangoon: è questo il punto di partenza irrinunciabile per raggiungere, con un breve tragitto su una barca a remi, l’isola su cui sorge la Pagoda Kyuktan che, al suo interno, ospita le raffigurazioni pittoriche delle principali pagode birmane. Ma non è questa la curiosità che spinge tanti visitatori sull’isoletta. I più, infatti, ci vanno per dar sfogo a un passatempo tanto semplice quanto divertente, ovvero dare da mangiare a un pesce-gatto oversize: innocuo, ma enorme, lo si vede spruzzare acqua con le sue pinne dorsali da qualsiasi punto dell’isola. Info: www.myanmar.com.