Un viaggio intorno al continente americano, 82.000km a bordo di una vespa di 40 anni alla scoperta di popoli e culture, partendo da New York
testo e foto di Ilario Lavarra
Da diversi anni la mia compagna di viaggio era una Vespa del 1970, vecchia ma con un grande cuore. Con lei ci avevo girato l’Europa, così non ebbi molti dubbi su quale sarebbe stato il mezzo del mio ‘periplo’ intorno all’America. Sono partito da New York City un giorno di metà maggio, da poco compiuti i 28 anni, senza un gran budget, e tanto meno senza uno sponsor. Non ne ho voluti per non intaccare quella mia necessità di fondo di essere libero, libero da tutto e da tutti. O forse, solo di poterlo credere. Mentirei se dicessi di aver avuto in testa un percorso preciso. A grandi linee volevo arrivare in Alaska, per poi scendere fino all’Argentina, senza precludermi variazioni lungo il percorso. Dopotutto mi professavo libero, no? Ecco perché arrivato in Alaska e aver macinato i miei primi 10.000 km, più per un vezzo che altro, decisi di andare a toccare il Mar Artico, lì dove moto ben più grosse che un vecchio scooter con ruote da dieci pollici fanno fatica ad arrivare. Per quasi una settimana ho perciò affrontato 600 km di deserto fatto di tundra e permafrost, in solitaria, tra fango e pietre, caribù e alci. Fu quella la mia prima, momentanea “uscita di scena dal mondo”. La prima di una lunga serie.
Poi a sud, parallelo dopo parallelo, orso dopo orso Sono sceso lungo la costa del Pacifico, tra le foreste della British Columbia, piene di laghetti e orsi (una mattina ‘bussò’ alla mia tenda dispersa tra gli abeti un bell’esemplare bruno, probabilmente attirato dai resti del mio cibo). Quindi sono arrivati i chilometri dell’Oregon e della California, dei rinomati Parchi Naturali e del Nevada, con il suo incredibile Burning Man Festival. Un Festival forse sì, demenziale e molto americano, ma necessario per quella società che altrimenti troverebbe ben pochi sfoghi nella rettitudine di quel suo capitalismo: fu una settimana surreale, o forse solo la mia ennesima uscita di scena dal mondo.
Latino America
Attraversare la frontiera messicana è stato un gioco da ragazzi: nessun controllo, nessun visto; così, in men che non si dica, iniziò la seconda parte di viaggio in un mondo sì meno facile, ma anche più interessante, almeno per me. Quasi per confermare le mie aspettative, cominciai a ricevere svariati inviti dai Vespa Club locali: a Morelia, Patzcuaro, Città del Messico, etc.. Decine e decine di persone che mi accolsero a braccia aperte, con tutto il loro calore latino, rendendo evidente quanto in Nord America mi fosse mancata quella parte umana che andava ben oltre il veloce scambio di una battuta alla gas station.
Se un viaggio è fatto dalle persone che si incontrano, allora il mio Viaggio iniziò in Messico. E da lì sarebbe proseguito sempre più a sud, anche attraversando le mille frontiere piene di burocrazie del Centro America. Poi arrivò l’impossibilità di unire via terra Panama e Colombia per colpa di una mancanza viaria atta a sfavorire il più possibile i narcotrafficanti colombiani: mi sono quindi imbarcato su una barchetta a vela di un capitano alcolizzato. Attraversare i Caraibi per attraccare a Cartagena è stata l’avventura nell’avventura. Ci siamo ritrovati in piena notte nel mezzo di una tempesta, alla deriva senza bussola, né pilota automatico, le vele strappate in più punti.
Viaggiare è anche rischiare… Non fu l’unica volta in cui rischiai grosso, no di certo. Fa parte del gioco e lo si mette in conto. Però ho sempre trovato rincuorante il fatto che le situazioni più pericolose non sono mai dipese dalla ‘cattiveria’ umana, ma da accadimenti naturali: come lo sfiorare il ribaltamento in mezzo allo Yukon River su una canoa, o intraprendere una scalata a quasi 4000 m con una guida poco esperta, o essere svegliati nella propria tenda piantata nella foresta da orsi e puma, o come dover guidare tra nubifragi lungo strade accidentate e notturne con il faro della Vespa inutilizzabile. Che poi, forse, avventura e disavventura nel lungo periodo sono un po’ la stessa cosa.
Perché una vecchia Vespa
Il Sudamerica è stato solo l’enorme ciliegina sulla torta di un viaggio così bello, pieno e bilanciato, che più volte mi sono chiesto se davvero fosse reale, o se invece non stessi seguendo il copione di un film inconsapevolmente interpretato. Un film lungo 18 mesi e 82.000 km, lenti, vissuti uno ad uno, perché non c’è mezzo migliore che una vecchia Vespa che va a 50 km/h per mischiarsi col mondo, veleggiare sui suoi equilibri differenti, profondamente, fino a fare della propria piccola tenda l’unica barriera, sottile e inconsistente, con quello che ci circonda.
Ilario è un lettore del nostro www.viaggivacanze.info, abbiamo volentieri ospitato questo suo racconto per promuovere il suo libro che in questi giorni è in distribuzione. Infatti dal 10 ottobre è iniziato il Vespagiro lungo lo stivale, un tour tra Vespa Club e librerie per presentare 21 Americhe, Viaggio in solitaria su una vecchia Vespa. Il libro si acquista in libreria, edito da Ultra 18,50 euro, o direttamente sul suo sito www.vespanda.com