Ci sono ragioni per andare in certi
posti al mondo che si direbbero
infantili, irrazionali. Voglio andare
lì, perché sta lì e non altrove. La
Terra del Fuoco argentina è in fondo al
continente sudamericano e proprio per
questa posizione – ma non solo-
interessa e incuriosisce.
Si tratta di arrivare a Ushuaia, la
città capoluogo della Terra del Fuoco e
poi tirare un respiro di soddisfazione.
Sì, siamo
proprio nella città più a sud del mondo.
La latitudine non è molto alta per la
verità (solo 54°48’), se confrontata con
gli insediamenti più a nord del mondo
(Longyearbyen e Ny Alesund alle Svalbard
78° e Siorapaluk in Groenlandia 77°), il
mondo abitato a sud del globo è più
corto di quanto la forma del continente
sudamericano- una specie di pera col
gambo all’ingiù- possa far credere.
Insomma il viaggiatore che arrivi così
lontano dalla scacchiera dove si gioca
la partita di tutti contro tutti- i
paesi tra i due tropici- dà la curiosa
sensazione di essere fuori gioco, nella
posizione in cui, fuori dalla scacchiera
appunto, si mettono i pezzi degli
scacchi eliminati dalla partita. E’
così, se appena ci si ferma a pensare di
essere “a la fin del mundo”, si avverte
di stare proprio bene con questa
sensazione di non essere temporaneamente
più interessati alla “partita”, senza
per questo aver nè perso né vinto. Per
altro a Ushuaia con i
suoi 70.000 abitanti, i suoi semafori,
le strade asfaltate, i negozi, i
ristoranti, i musei, non manca nulla dei
comfort del resto del mondo. Una specie
di isola commerciale in mezzo alle
montagne e a ghiacciai della “Isla
Grande”. Le casine colorate e basse di
Ushuaia si arrampicano invasive come
un’edera fino ai fianchi delle montagne
tra le foreste di lenga (la specie più
comune di faggio locale); in poco più di
un secolo le casine, poi diventate
negozietti e B&B, sono diventate
migliaia. Lontani i tempi in cui la
prima impresa edile consisteva di alcune
centinaia di detenuti, la tradotta era
un trenino a scartamento ridotto e la
materia prima per costruire era a
qualche chilometro dal cantiere, tutta
ancora da prelevare a mano. Qui doveva
nascere un avamposto dell’Argentina, in
mezzo al territorio cileno. Poche
maestranze incatenate sono bastate a
gettare la prima pietra. Ushuaia, è
nata così, in provetta, diremmo. La
storia delle origini sta tutta
condensata nelle celle del penitenziario
che i prigionieri dovettero costruire
per stessi nei primi anni del ‘900- e
questo è un capitolo- ma a voler
guardare più indietro, a curiosare nei
racconti delle missioni, si scopre che
per millenni i popoli indigeni di
quattro diverse etnie stavano qui
cacciando guanachi e volpi rosse,
pescando nei bracci dell’oceano e
spostandosi dove li portava la ricerca
di prede. Oggi estinti o meticciati,
sopraffatti dalle malattie dopo il
contatto coi bianchi. E questo è un
altro capitolo, uguale sotto molti
cieli, boreali e australi. Una storia
che ora ritorna a galla con i tentativi
di salvare le ultime memorie con alcuni
piccoli musei storici-
Mondo
Yamana, Museo de la fin del mundo…
Tolhuin è più ancora
un”pueblo a la fin del mundo”, benchè un
po’ meno a sud. Strade sterrate,
negozietti minimali e invisibili, una
piazzetta intitolata a Evita Peron
grande come un francobollo. Sulle sponde
del Lago Fagnano ma un poco arretrato,
il pueblo si fa desiderare per una sosta
nella famosa panaderia e per
l’atmosfera da insediamento di
pionieri. D’inverno, con la neve, deve
assomigliare a un villaggio della
Lapponia, le case di legno di lenga, i
tetti molto spioventi, le finestre senza
scuri. Nel lago non si naviga e non si
fanno i bagni, a causa del vento che può
levarsi improvviso, per cui conviene
andarsene a zonzo a cavallo con Jorge,
un gaucho tranquillo e competente che
aspetta sorseggiando mate nel suo ranch
a bordolago. Volendo arrivare anche alla
fine della carretera n° 3 che scende da
Buenos Aires, ci si troverà un poco più
a ovest di Ushuaia e all’ingresso del
Parco Nazionale, in mezzo alle cime
delle ultime Ande –cilene- alle lagune,
alle castorere. .
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