Cairo,
piana di Giza, piramidi di Cheope,
Chefren, Micerino . Rivestite da lastre
di calcare bianco di Tura, località
sulla riva orientale del Nilo, culminano
con un cappello rossiccio per effetto di
un lichene e poggiano nella sabbia su
granito rosso. Quale spettacolo,
visibile da molto lontano, le piramidi,
quando i vertici erano ancora dorati, a
rappresentare il sole? Piramide di
Chefren, aperta al pubblico. L’interno è
molto semplice: un corridoio penetra in
profondità, sotto il vertice, fino ad
una camera scavata nella roccia. Sul
pavimento sta un sarcofago di granito,
privo di scritti o decorazioni, il
coperchio divelto da antichi tombaroli.
Si scende in fila indiana, con cadenza
lenta ritmata dai gradini. Molte le
persone all’inizio della discesa, sempre
meno verso il basso. Per la fatica o una
certa paura molti tornano indietro.
Eppure basta girarsi e scendere a
ritroso, guardando verso l’ingresso
piuttosto che alla fine della scalinata.
Partiti in massa, arrivano in pochi. I
respiri sospesi, accanto al sarcofago
spoglio, sotto le lastre di calcare del
soffitto e con quel guardiano in fondo
alla parete, che sembra lo stesso del
tempo di Chefren. Complici del vortice
d’energia dove tutto è profondità e
silenzio, gli spiriti più sensibili
avvertono un lieve ondeggiamento,
effetto delle radiazioni di nano-onde
che mettono in circuito l’energia
vitale; qui il tempo e lo spazio
coincidono nell’istante che racchiude
tutto, più veloce della luce,
risucchiati nell’antimateria, dove gli
organismi si muovono al contrario, verso
la rigenerazione. Come l’iniziazione ai
misteri, che avveniva stendendosi nei
sarcofagi: il corpo e lo spazio non
avevano più limiti nè confini. Se le
piramidi sono un libro di pietra che
trasmette conoscenza, specchio (secondo
alcuni studiosi) di osservazioni
stellari….e se non tutti gli
appassionati del genere possono andare
in Egitto, l’alternativa è Torino, non
solo per il celeberrimo museo egizio ma
anche per le mostre che la città offre
in questa primavera. Tra barlumi di luce
nel chiaroscuro delle stanze ed echi
sonori vaganti, Akhenaton Farone
del sole torna a risplendere a
Palazzo Bricherasio, nella
giusta gloria, cancellata dalla
restaurazione del suo successore
Tutankhamon, da sacerdoti e potenti di
corte. Come succede agli innovatori, fu
considerato eretico per aver istituito
il culto dell’Aton, il disco solare
trasformato in un’entità divina,
prontamente cancellata alla sua morte.
La mostra, curata da Francesco
Tiradritti, inizia con le spettacolari
immagini del sole dell’Osservatorio
astronomico di Torino (utilizzate dalla
Nasa) e presenta le vicende
storico-culturali dell’Egitto tra i
regni di Amenofi III e Ramesse II,
centrando l’attenzione su Akhenaton,
alla luce delle più recenti scoperte e
riflessioni su questa particolare epoca
del regno. Concetto fondante della
mostra, accreditato dall’egittologia
mondiale, è che la riforma religiosa
voluta da Akhenaton restituì al faraone
il ruolo di unico tramite tra gli uomini
e il dio, come fusione di divino e
umano; il culto avveniva alla luce del
sole e non nell’oscurità del santuario
nella forma di monoteismo, teoria già
proposta da Sigmund Freud. Di questo
straordinario periodo, al centro del
quale sta la nuova capitale Akhet-aton
(odierno sito di Tell el-Amarna),
beneficiano le arti e la cultura (arte
amarniana), come dimostrano gli oltre
duecento reperti (statue, sfingi, stele,
oggetti domestici e personali…) della
mostra. Alla sensibilità artistica del
faraone è attribuita la bellissima
poesia “Inno
all'Aton”. Lo sguardo su l’ “Egitto
nascosto” continua da Palazzo
Bricherasio al Castello di
Miradolo, sede della Fondazione
Cosso,
dove sono esposte le collezioni di
egittologi, viaggiatori e appassionati
piemontesi. L’attraversamento ideale del
delta del Nilo prosegue, dieci
chilometri fuori città, fino alla
Reggia di Venaria, dove
le Scuderie Juvarriane ospitano uno
scenografico allestimento immerso nel
paesaggio sonoro: “Egitto. Tesori
sommersi”, a cura di Franck Goddio,
allestimento di Robert Wilson, musiche
di Laurie Anderson. Questa è l’unica
tappa italiana della mostra
internazionale che espone oltre 500
reperti archeologici provenienti da
Alessandria, Heracleion e Canopo,
antichissime città della zona del Delta
del Nilo che nei primi secoli dell’era
cristiana sprofondarono sei metri sotto
il livello del Mediterraneo. Con il
supporto di una sofisticata tecnologia
geofisica, l’equipe guidata da Franck
Goddio ha riscoperto autentici tesori,
dalle colossali statue in granito di
oltre cinque metri, alle monete d’oro;
dalla stele di Tolomeo con le sue sedici
tonnellate di peso, all’anello nuziale
in oro che porta incisa una frase del
Vangelo. Reperti di altissimo interesse
che raccontano quindici secoli di storia
dal 700 a.C. all'800 d.C., dall’antico
Egitto alle reciproche influenze tra
mondo greco, romano, bizantino, fino
alla conquista araba. L’allestimento è
già una mostra in sé, una creazione
verbovisiva di grande interesse. Parte
da un buio corridoio evocativo delle
profondità marine, prosegue verso una
stanza luminosa, la “contemplation space”
dedicata ad un solo, prezioso oggetto e
al piacere della contemplazione. Seguono
ambienti singolarmente allestiti: Sunken
Forest (Foresta sommersa), Treasures
Honeycomb (Alveare delle Meraviglie),
Sphinx Box (Sfingi), Liquid Space
(Trasparenze), Waves Power (Onde). La
visita culmina e conclude, attraverso un
corridoio come scura galleria (Coral
Tunnel), nell’esposizione di una
splendida e misteriosa statua femminile,
congedo spettacolare al visitatore in
uscita. L’esposizione si trova negli
imponenti spazi della Citroniera
(l’antica serra creata per il ricovero
degli agrumi) e Scuderia Grande, opere
di pregio architettonico realizzate nel
Settecento da Filippo Juvarra, il cui
restauro è in fase conclusiva.
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