Tra
le mete più battute dal turismo
mondiale, ideale per trascorrere una
vacanza nei mesi invernali al caldo dei
Tropici, la Riviera Maya si estende
nella penisola dello Yucatan tra Cancun
e Punta Allen. Una mescolanza di lingue
e di nazionalità risuona in tutti i
grandi alberghi della costa: per gli
americani lo Yucatan è a un paio di ore
di volo, i canadesi adorano questo mare
turchese orlato in fondo dalle onde
bianche del Gran Arrecife Maya, la
seconda barriera corallina più
importante del mondo e gli europei hanno
imparato in fretta la via di fuga da
nebbia, neve e freddo invernali.
Fino a trenta anni fa questa costa
selvaggia sul mar dei Caraibi, orlata da
spiagge incantevoli, coperta di palme
fino al mare e rivestita da una selva
fittissima, era percorsa solo da una
carretera sterrata. Qualche autobus di
linea carico di campesinos passava senza
orario diretto in Belize e in Guatemala.
Lo sviluppo repentino di questa costa
messicana é stato guidato con
equilibrio, salvaguardando ambiente e
popolazione. Esemplare la riserva
Biosfera di Sian Ka’an (“principio del
cielo” in lingua maya), un territorio di
oltre 1,5 milioni di acri dichiarati
dall’Unesco nel 1986 patrimonio mondiale
dell’umanità, ultimo lembo meridionale
della Riviera Maya.
Come altri eco-parchi è stata posta
sotto protezione e salvata da un
disboscamento eccessivo. Così lo stato
più giovane del Messico, il Quintana Roo,
creato solo nel 1974 ha preservato,
insieme con la splendida intatta
naturalezza di questi luoghi, anche la
possibilità di lasciare i suoi abitanti
nel territorio, occupati e coinvolti
nella salvaguardia dell’ambiente. Gli
eco-parchi, infatti, non sono concepiti
come aree intoccabili e immodificabili,
ma come aree nelle quali è consentito
vivere, lavorare e intervenire
sull’ambiente secondo regole ben
codificate. Dentro i parchi ci sono
paesi di pescatori, comunità agricole,
piccoli centri di artigianato, paesi in
cui vivono guide che accompagnano le
spedizioni all’interno. Un esempio di
sviluppo intelligente che invita a
godere il territorio senza distruggerlo.
Solo una piccola parte di quest’ area
fortemente protetta della biosfera di
Sian Ka’an è aperta al turismo. Ma una
parte sufficiente ad assaporare tutte le
emozioni della giungla tropicale alta e
fitta, della savana bassa e paludosa e
della misteriosa larghissima laguna che
si apre sul mare. Ci si muove a piedi
nei sentieri indicati, in canoa
pagaiando lentamente trascinati dalla
corrente all’interno della laguna e
avvistando, se si è fortunati, i grandi
quezal dalle piume verdi, che i Maya
identificavano in un simbolo di bellezza
e di abbondanza. Tra le mangrovie
intricate, universo di scambio vitale
tra insetti, rettili, coccodrilli di
pantano, passano in volo aironi, ibis,
pellicani, trampolieri, ma anche il
pappagallo yucateco dalle piume rosse e
il tucano reale dalle guance gialle e un
enorme becco.
Poco lontano Xcaret (in lingua maya
“piccola cala”) è un eco-parco
archeologico e didattico dedicato alla
fauna di questa zona. Mariposas,
tartarughe, coccodrilli immersi in
giardini tropicali pieni di orchidee e
in calette tranquille interrotte da
fiumi sotterranei raccontano tutte le
bellezze del Caribe messicano. Qui è
possibile anche assistere al gioco della
palla, antico di 3.500 anni, chiamato
pok- to-pok con un nome onomatopeico che
ricorda il suono sordo della pelota che
rimbalzava sui gomiti e sulle ginocchia.
Un gioco sacro che viene rievocato anche
in modo più suggestivo nello spettacolo
notturno dove con lo sfavillio di luci e
colori torna a vivere la maestosità
solenne dell’impero maya.
Ancora più affascinanti le grotte di
Aktun Chen che si percorrono quasi
carponi, in cunicoli che si allargano
all’improvviso in un mondo fantastico di
stalattiti, stalagmiti immerso
nell’acqua di fiumi sotterranei, dove
affondano le radici sottili di alberi
che crescono sotto terra e nuotano pesci
albini. Un fenomeno questo diffusissimo
nello Yucatan, penisola calcarea erosa
da centinaia di pozzi collegati tra loro
da fiumi sotterranei che si possono
percorrere a nuoto con qualche
spedizione avventurosa. Pinne, maschera
e boccaglio sono l’attrezzatura
indispensabile per osservare non solo la
barriera corallina al largo, ma anche il
mistero di queste acque dolci nascoste
passando da una caverna all’altra con la
torcia che illumina nel silenzio il
movimento dei pesci e l’affiorare di
colonne di pietra millenarie. I raggi
del sole possono filtrare dall’esterno,
illuminando i fondali e creando
emozionanti giochi di luce e di
trasparenza. Oggi immergersi nei pozzi o
cenotes dello Yucatan fa parte di un
viaggio/avventura. Un tempo invece i
cenotes erano un elemento vitale della
cultura maya. Usati come cisterne di
acqua in una terra che assorbe e lascia
filtrare nel calcare tutta l’acqua
piovana, erano collegati anche a riti
sanguinari come dimostrano i resti di
ossa umane trovati nel grande cenote a
Chichen Itza. I Maya sono ancora vivi in
questa parte del Messico percorsa da
tracce del passato in ogni crocicchio.
Affascinante il sito di Cobà a 40
chilometri dal mare, immerso nella selva
come i suoi templi in parte nascosti
dalla vegetazione foltissima che si
infiltra nelle pietre, divora le rovine,
mimetizza ogni struttura. Una
piattaforma enorme ancora non esplorata,
la Iglesia a gradoni dove non è
possibile salire, sentieri ombreggiati
da percorrere in bicicletta o in
triciclo e poi il grande tempio di
Nohuch Mul, di 42 metri, il più alto
dello Yucatan dimostrano l’importanza di
Cobà, centro cerimoniale tra il 300 a.C.
e il 1000 d.C, capitale delle terre del
sud nell’impero maya. Bisogna
assolutamente affrontare lo sforzo di
salire, gradino dopo gradino, tenendosi
alla corda della scalinata per evitare
le vertigini e arrivare in cima alla
piccola cella superiore che costituisce
il coronamento della piramide, come
nelle architetture del Peten in
Guatemala. E lassù, in cima alla
scalinata, si può finalmente guardare in
giù all’orizzonte. Dove a perdita
d’occhio senza fine si stende un mare
verde fittissimo, intricato, superbo. E’
la selva tropicale che aveva inghiottito
la prima spedizione di Spagnoli illusi,
dopo essere sbarcati sulla spiaggia, che
la conquista fosse ormai a portata di
mano.
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