Quando
il Dodo zampettava sulle sue spiagge,
Mauritius era un’isola disabitata e
selvaggia. Coperta da foreste vergini
lussureggianti, alberi giganteschi e
profumati, fiori rossi, pietre nere di
origine vulcanica, poteva apparire come
un piccolo paradiso terrestre. I
mercanti arabi l’avevano toccata nel X°
secolo senza fermarsi, poi erano
arrivati i portoghesi nel 1505 e il
tacchinone un po’ tonto (i portoghesi lo
chiamarono “dodo” cioè stupido) non fece
in tempo a imparare a volare. Così si
estinse, sotto il fuoco delle
schioppettate e dei falò, che
grigliavano la sua carne saporita. Per
fortuna non sono scomparse né foreste,
né alberi giganteschi, né cascate
cristalline. Tanto che Mark Twain, di
passaggio a Mauritius, disse che Dio
l’aveva presa a modello per disegnare il
paradiso.
Non al plurale, come molti sbagliano, ma
al singolare va declinata questa isola,
collocata tutta sola nell’Oceano Indiano
a 1800 km da Mombasa e a 4700 km da
Bombay. Solo Réunion e Rodriguez si
possono abbinare nella definizione di
Mascarenas, perché scoperte da Pedro
Mascarenhas. Invece il nome originario
di Mauritius deriva dal passaggio degli
olandesi che nel XVI° secolo vollero
omaggiare il principe Maurice de Nassau.
E così la confermarono gli inglesi,
ultimi signori dell’isola dopo un secolo
di dominazione francese che ovviamente,
con la solita mania di grandezza, aveva
ribattezzato Mauritius Isle de France.
Un melting pot di
razze e religioni
I mauriziani, gente allegra,
sorridente e cordialmente disponibile,
non si preoccupano di questi passaggi di
proprietà. Dal 1968 l’isola è solo loro,
ma ha ereditato i vantaggi di queste
variopinte presenze. Un melting pot di
popoli, razze e religioni che convivono
serenamente in totale armonia, tanto da
proporre un modello esportabile a
società più evolute. Un raro esempio di
pacifica convivenza sullo sfondo di un
piccolo paradiso terrestre.
Discendenti di bianchi dominatori,
creoli, schiavi negri importati dal
vicino Madagascar e dalle coste
africane, mercanti indiani, uomini
d’affari cinesi, sono perfettamente
integrati e si rispettano a vicenda.
Accanto alle chiese cattoliche grandi e
piccole, si alzano moschee e
coloratissimi templi indù con le loro
vasche di purificazione, cortili adorni
di statue, offerte di petali e frutta.
Dovunque si prega e si festeggia, così
che a Mauritius con tutte queste
religioni, ogni mese dell’anno c'è
un’occasione di festa.
Un luogo magico è Grand Bassin, dove gli
indù celebrano anche cerimonie
impressionanti come il Cavadee di
febbraio, una processione con lunghi
aghi infilati in tutto il corpo.
All’altro capo dell’isola, all’estremo
nord, distante solo 80 chilometri, una
deliziosa chiesetta rossa dedicata a
Maria segna invece il villaggio di Cap
Malheureux, poco amato evidentemente da
marinai e pescatori del passato. Oggi
non c’è rischio di naufragio, ma solo di
dimenticare il trascorrere del tempo
guardando i gabbiani e le barche che si
staccano dalla riva verso gli isolotti
al largo.
La costa attira turisti di tutte le età
in cerca di sport nautici, escursioni
sottomarine, pesca d’altura per
catturare il favoloso blue marlin e
anche solo di splendido relax sulla
spiaggia. Sotto le palme di noce di
cocco ci si addormenta sognando fughe
impossibili. Dal mondo, dalla civiltà,
dal lavoro. Fughe a cui contribuiscono
hotel di sogno come il Sofitel Imperial
di ispirazione asiatica a forma di
pagoda. Sulla costa ovest con spiaggia
privata a Flic en Flac si aprono i suoi
giardini lussureggianti, cascate d’acqua
e una magnifica Spa tropicale con
terapie complete antistress che lo
rendono un’attrazione unica di
Mauritius.
Una laguna di sabbia bianca e acqua
trasparente orla la costa al riparo
dalle onde dell’Oceano che si infrangono
invece sulla barriera corallina, dove
pesci colorati e pareti a strapiombo
attendono i più coraggiosi. Massima
libertà per tutti, anche per chi si vuol
sfracellare giù dalle Rocks a sud dove
la barriera corallina non protegge le
coste dell’isola affacciata direttamente
sulla potenza dell’oceano. Il sud
dell’isola è la parte più selvaggia e
meno attrezzata turisticamente. La punta
estrema del promontorio Le Morne che
ricorda la fuga degli schiavi negri in
cerca di un rifugio inaccessibile, è
emozionante per chi va a guardare e chi
va a farsi guardare. Sono gli audaci del
windsurf trainato da un aquilone che
solleva tavola e surfista in volo
all’improvviso e li fa volteggiare in
aria.
Ancora più fuori dal mondo la piccola
Ile aux cerfs a est (a cui si giunge in
20 minuti di battello o con la elegante
lancia privata dell’Hotel Le Touessrok),
separata da un bosco di mangrovie dove
si nascondono cappelli di paglia e lenze
di pescatori. Si passeggia a piedi nudi
sulla sabbia ombreggiata dai filaos, gli
alberi sottili simili ai salici che
crescono fino all’acqua, mentre un
delizioso profumo di grigliate
all’aperto ricorda che anche qui sono
arrivati i piaceri della civiltà.
Una storia tormentata
La civiltà ha rappresentato a
lungo per Mauritius luci e ombre. Se
erano arrivati insieme con i dominatori
francesi, soprattutto con il celebre
Labourdonnais, gli agi di mulini ad
acqua, la prima stamperia e la prima
farmacia, oltre a strade percorribili e
case decenti, era arrivata anche la
piaga spaventosa della schiavitù.
Nessuno scrupolo di coscienza poté
vincere l’avidità di sfruttare al
massimo le ricchissime piantagioni di
canna da zucchero. La schiavitù
dall’Africa nera diventò un fenomeno
massiccio tanto che nel 1788 l’isola
contava 2.500 uomini liberi e 36.000
schiavi. La sproporzione lascia
immaginare la durezza dei mezzi
repressivi per tenere a bada questa
massa pericolosa pronta ad esplodere.
In Europa erano gli anni
dell’Illuminismo, quando cominciava una
riflessione radicale sui diritti umani.
Questa riflessione prende corpo nei
famosi romanzi “Paul et Virginie” e
“Voyage à l’Isle de France” di Bernardin
de Saint Pierre ambientati a Mauritius.
Dopo l’infanzia serena influenzata dalla
cultura africana degli schiavi, i due
protagonisti di “Paul et Virginie”
partono e muoiono in un naufragio.
Spunto della trama romanzesca era stato
il naufragio del Saint Gèran, un
vascello perduto nel 1844 sugli scogli
della costa orientale. Una campana con
la scritta Compagnia delle Indie trovata
per caso dai pescatori, posate, un
ditale d’oro e alcune delle 25.000
piastre d’argento trasportate dal
vascello raccontano questa storia
avventurosa che rivive nel museo di
Mahéburg, il primo punto di approdo dei
navigatori olandesi. E’ un luogo carico
di storia dove, con un po’ di
immaginazione, si possono rievocare i
tempi in cui la “rotta delle isole”
passava di qua per collegare Francia,
America, India, Cina con vascelli
carichi di spezie pregiate attaccati
spesso dai cannoni.
Al largo del Vieux Port si svolse una
grandiosa battaglia navale durante le
guerre napoleoniche tra la flotta
francese e quella inglese. Echi di
cannonate e scontri di navi si possono
solo immaginare nelle tranquille sale
del museo, inserito in una casa
coloniale dell’800, tra i colori di uno
splendido giardino tropicale. Ma basta
uscire dal museo e affacciarsi sulle
strade che portano al mare per
riconoscere nella fisionomia della gente
il segno delle razze che, non sempre
pacificamente, hanno costruito nei
secoli la varietà di questo piccolo
mondo.
Un’originale “Strada
del tè” alla scoperta delle tradizioni
di Mauritius
L’itinerario ha inizio a
Curepipe con la visita di Domaine des
Aubineaux, del 1872, una delle poche
dimore coloniali degli alti plateaux
mauriziani, l’originaria residenza del
proprietario delle piantagioni di tè
Bois Cheri, con arredi e quadri
autentici dell’epoca. Il tour prosegue
15 km verso sud nel cuore delle
piantagioni del tè Bois Cheri con visita
alla fabbrica del tè e degustazione dei
migliori tè. Annesso alla fabbrica, il
museo del tè Bois Chéri introduce alla
storia della preziosa miscela famosa in
tutto il mondo e conserva vecchi
macchinari e illustrazioni d’epoca.
Sempre puntando a sud, a 12 km da Bois
Cheri si trova Le Saint Aubin, splendida
dimora coloniale risalente al 1819 oggi
trasformata in raffinata ed eccellente
table d’hôte, dove è possibile
assaggiare i piatti della tradizione
creola. Il fondo non produce più
zucchero, ma nei giardini della villa si
trovano una piantagione di anthurium,
fiore simbolo dell’isola, di vaniglia e
una distilleria di rhum.
Un ricco calendario di
feste per tutti i riti
Impossibile elencare tutte le feste
dell’anno a Mauritius.
Feste di origine indù: Thaipoosam/Cavadee
a gennaio/febbraio colpisce e insieme
affascina per la sua crudezza: zoccoli
chiodati e aghi conficcati nella pelle
rappresentano, insieme al giogo di legno
(cavadee), il fardello da portare prima
della liberazione definitiva. Maha
Shivaratree, febbraio-marzo: dopo una
notte di veglia un'immensa folla di
fedeli, carichi di archi ricoperti di
fiori (kanvar), si reca presso le sponde
del lago sacro, il Ganga-Talao (Grand
Bassin). Divali: ottobre-novembre in
onore di Laksmi, dea della ricchezza, è
un tripudio di luci, accese in tutte le
abitazioni e nei luoghi sacri.
Feste di origine cattolica: Festa di
Padre Laval il 9 settembre, dedicata a
Padre Laval, ispirato abolizionista ai
tempi della schiavitù e deceduto in odor
di santità, è in realtà un tema che
accomuna tutte le confessioni
dell'isola.
Feste di origine cinese: Festa della
Primavera (Capodanno cinese) in
gennaio/febbraio con fuochi e petardi,
nella migliore delle tradizioni, scaccia
i cattivi presagi dell’anno precedente,
celebra il culto degli antenati e dei
numi tutelari del focolare, con offerte
votive nelle pagode, feste e balli di
strada e la splendida Danza del Dragone.
Feste di origine tamilica: Marcia sul
Fuoco (Timethi), dicembre-febbraio,
secondo una calendarizzazione fissata di
volta in volta dai monaci, prevede i
preliminari di purificazione (il bagno
nelle acque del fiume) e quelli
preparatori (danze di fronte al tempio),
infine in stato orgiastico i fedeli
affrontano la marcia sui carboni
ardenti, da cui escono indenni.
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