Un Paese di piccole dimensioni ma dalla
varietà paesaggistica sorprendente:
montagne coperte di boschi e incise da
torrenti impetuosi, aree semidesertiche,
vallate e colline fertilissime, e uno
dei più grandi laghi d’alta quota del
mondo, il lago Sevan. Un Paese abitato
da un popolo gentile e cordiale erede di
una civiltà antica, le cui radici
affondano in un’epoca in cui qui si
inventava e perfezionava l’uso della
ruota e si cominciavano a coltivare i
cereali. Un Paese che per primo, nel
303, adottò il Cristianesimo come
religione ufficiale e che ha visto
sorgere autentici gioielli di
architettura sacra, molti dei quali oggi
tutelati dall’Unesco. Un Paese
profondamente occidentale ma a cavallo
fra Europa e Asia, che ha da offrire al
viaggiatore atmosfere, folclore, cucina
e costumi peculiari ed esotici.
Yerevan, la capitale
Con 1.100.000 abitanti oggi Yerevan è un
centro in piena rinascita, dopo i
difficili anni seguiti al terremoto del
1988 e alla guerra con l’Azerbaigian per
il Nagorno Karabakh. Il clima che si
respira per le sue strade è piacevole,
vivace ma non nevrotizzato dal traffico,
rilassato ma non abulico, con molte
persone di ogni età e ceto inclini ad
assaporare i piccoli piaceri della vita:
quattro chiacchiere con gli amici in uno
dei numerosi locali coi tavolini
all’aperto, un giro per vetrine, una
serata ad ascoltare cool jazz in un
locale alla moda. L’atmosfera di questa
città d’impronta russa e sovietica
ricorda un po’ l’Italia del dopoguerra
raccontata dai film del neorealismo:
voglia di America e motorini scassati,
sedi della CNN e strade dissestate,
contadini che vendono la loro frutta al
mercato e boutique di Victoria’s Secret.
Con, in più, un grande amore per la
cultura, testimoniato dalla presenza di
numerosissimi musei, tra i quali un
posto di riguardo spetta al Museo del
Genocidio, costruito nel 1967 sulla
collina di Tsitsernakaberd, che ricorda
l’eccidio operato dai turchi ai danni
delle popolazioni armene nel 1915-1919.
Monasteri e templi, testimoni di una
fede antica
Elemento caratteristico della cultura e
del paesaggio armeno sono i numerosi,
splendidi monasteri, e il possente
Ararat, sulla cui cima, secondo la
tradizione, si posò l’arca di Noè dopo
il diluvio universale. La montagna si
trova in territorio turco da molti
secoli, ma gli armeni la sentono ancora
come un loro patrimonio, tanto da
raffigurarla sulla bandiera del Paese.
Due dei simboli dell’identità nazionale
facilmente raggiungibili da Yerevan sono
il monastero di Khor Virap, dove
fu a lungo imprigionato, secondo la
leggenda, San Gregorio l’illuminatore,
artefice della conversione del Paese al
Cristianesimo, e la cattedrale di
Echmiadzin, sede della Chiesa
armena, nel quale sorse, nel 303, la
Chiesa Madre d’Armenia (Mayr Tachar),
dal bellissimo portale scolpito e
dipinto.
Un po’ più lontano, il monastero di
Noravank, gioiello dell’architettura
medievale e uno dei più suggestivi del
Paese: abbarbicato fra i monti 122 km a
sud-est di Yerevan si raggiunge
attraversando zone semidesertiche e
verdi distese di vigneti. Nella regione
più settentrionale del Paese, invece, a
pochi
chilometri dalla Georgia, due complessi
monastici che valgono, da soli, un
viaggio in Armenia: Haghpat e Sanahin,
entrambi dichiarati dall’Unesco
Patrimonio dell’Umanità. Sorgono in
cima ai versanti opposti di una profonda
gola in cui scorre l’irruente fiume
Debet. Il più settentrionale, Haghpat,
fu costruito nel X secolo, forse dagli
stessi artisti ai quali si deve anche
Sanahin, come testimoniano le numerose
somiglianze tra i due complessi.
Non si può inoltre non ricordare
l’imponente testimonianza dei forti
legami storici tra la cultura armena e
quella greco-romana: il tempio di
Garni, costruito nella seconda metà
del I secolo, sotto il regno di Tiridate
I con finanziamenti che questi ottenne
da Nerone durante una sua visita a Roma.
Appena 9 km dopo Garni, annidato in
fondo a una spettacolare gola, il
monastero rupestre di Geghard, fondato
nel IV secolo, stupisce per i suoi
ambienti dalle elaborate ornamentazioni
scavati nella roccia.
Croci di pietra, cucina e un popolo
gentile
Molto altro, oltre a chiese e monasteri,
fa dell’Armenia un Paese magico: i suoi
khatchkar, le croci scolpite su
grandi blocchi di pietra che si trovano,
oltre che nelle chiese e nei monasteri,
sparsi nei campi, dove venivano eretti
per gli scopi più vari, l’indomita e
serena vitalità dei suoi abitanti e,
infine, il cibo. Elemento caratteristico
della cucina armena è il lavàsh,
un pane non lievitato simile al carasau
sardo che viene cotto in un forno
interrato, e poi lanciato a raffreddare
su un telo. Nel forno ancora caldo si
caleranno poi patate e spiedini di carne
(i famosi khorovats) che
sgoccioleranno il loro grasso sulle
patate sottostanti insaporendole.
Se c’è un luogo in cui oggi è davvero
palpabile l’antichità, la profondità e
l’influenza esercitata dalla civiltà
armena questo è proprio la cucina. Molti
studiosi ritengono che il grano sia
stato coltivato per la prima volta a sud
del lago Van, oggi in Turchia e per
secoli cuore della Grande Armenia,
mentre gli antichi romani chiamavano
l’albicocca “prunus armeniaca” (e non è
un caso se nella bandiera armena,
accanto al rosso e al blu compare
proprio il colore dell’albicocca).
La cucina armena sembra aver conservato
traccia di ogni angolo di quel grande
impero che un tempo si estendeva dal
Caspio al Mediterraneo. Accanto ai
khorovats, le saporitissime carni di
maiale (ma anche di agnello, manzo,
pollo, anatra) cotte allo spiedo o alla
griglia, i piatti della cucina armena
hanno punti di contatti con la cucina
libanese, turca, siriana, persiana,
georgiana, russa. Ed è davvero difficile
dire chi ha influenzato chi, nel corso
di tanti millenni di reciproci contatti,
interazioni, sovrapposizioni, intrecci -
nel bene e nel male.
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