Alzi
la mano chi non ha, tra i ricordi
d’infanzia, quel simpaticone dell’orso
Yoghi, tenero e dispettoso protagonista
del cartone animato in cui passava il
tempo a rubar merende ai turisti facendo
impazzire il povero ranger. Ma chi
ricorda dove viveva? Aiutiamo le memorie
latitanti: aveva eletto la sua dimora
tra gli alberi secolari di una delle
riserve più grandi del mondo, una delle
più spettacolari di tutti gli Stati
Uniti: lo Yellowstone National Park.
Quando ci si arriva, si rimane
sbalorditi dalla varietà di scenari. Lo
sanno bene le migliaia di turisti che,
ogni anno, decidono di farlo meta dalle
loro vacanze. Prima di tutto per la sua
collocazione geografica: 9 mila metri
quadrati di natura intatta tra le
Montagne Rocciose, nel cuore di quel far
west che non stanca di far sognare, un
territorio incontaminato suddiviso tra
gli stati del Wyoming, dell’Idaho e del
Montana.
Il parco deriva il suo nome dalle
testimonianze di due illustri
esploratori: il capitano Meriwether
Lewis, segretario del presidente
Jefferson, e il suo amico William Clark.
I due, in una relazione inviata a
Jefferson nel 1805, inserirono una carta
geografica in cui un affluente del
Missouri veniva chiamato Yellow Stone,
cioè pietra gialla, dal colore
dell’arenaria lungo il fiume. Ma non è
solo il giallo il simbolo del parco:
attraversando il Grand Canyon ci si
accorge che le tonalità dell’iride non
bastano a descrivere le alternanze di
colori, le sfumature che tingono rocce e
montagne in un perenne contrasto con il
verde cupo delle foreste, quello
delicato delle immense praterie e
l’azzurro cristallino di fiumi e laghi.
Già, perché è proprio l’acqua una delle
maggiori attrattive del parco. A
cominciare dalle sue cascate, le Upper
and Lower Falls, fino alle oltre 10 mila
sorgenti calde e alla sorprendente
rappresentazione offerta dai geyser del
bacino dell’Old Faithful: “funghi” di
vapore che esplodono dal terreno creando
un’emozionante spettacolo naturale.
E che dire dei laghi? Il principale, lo
Yellowstone, a 2.350 metri sul livello
del mare, è il secondo al mondo per
grandezza a una simile altitudine (il
primo, per dovere di cronaca, è il
Titicaca in Perù), mentre lo Shoshone è
una sorta di paradiso per canoisti oltre
che per pescatori che amano ingaggiare
battaglia con trote di dimensioni maxi.
E qui si apre la diatriba tra chi
ritiene che la primavera e l’estate
siano le stagioni migliori per visitare
il parco e chi, invece, sostiene che non
ci sia niente di più affascinante e
magico della sua veste invernale, quando
nel silenzio assoluto si sente il tenue
gocciolare del ghiaccio, quando la neve
trasforma i panorami in immagini da
film, quando sci, racchette e motoslitte
diventano gli unici mezzi utili per
esplorare foreste e sentieri.
I signori della
foresta
Nel cielo di Yellowstone non
è difficile avvistare il volo maestoso
delle aquile, come non è raro imbattersi
in aironi, oche canadesi, gabbiani,
pellicani. Tutti gli specchi d’acqua
fanno da cornice allo sguazzare di varie
specie di anitre, mentre tra i boschi è
facile riconoscere il verso
inconfondibile del gufo.
Nel parco si contano quattro diverse
specie di cervidi, alce incluso e
compresi quei veri e propri colossi che
sono i maschi della specie “moose”: alti
più di due metri, pesano fino a 650
chili e vantano le corna più possenti
tra tutti i mammiferi, larghe fino a un
metro e mezzo. Non solo: nonostante la
mole imponente, sono ottimi nuotatori e
possono attraversare anche fiumi di
notevoli dimensioni.
Belli anche i cervi dalla coda bianca e
gli stambecchi che abitano le montagne
del parco, mentre nelle praterie, oltre
a mandrie di bufali e bisonti, vive
l’antilope, fragile nell’aspetto, ma
robustissima, velocissima e dotata di
un’acutezza visiva superlativa: si
calcola sia simile a quella di un uomo
che guarda attraverso un cannocchiale a
sette ingrandimenti. Impagabile, infine,
anche l’emozione dell’incontro
ravvicinato con i coyote, i puma, le
linci e, naturalmente, lui: sua maestà
l’orso...
C’è orso e orso
Quando si parla di orsi a
Yellowsone, è corretto un distinguo: una
cosa è l’orso bruno, un’altra il
grizzly. Il primo rappresenta la
famiglia più numerosa: il colore del
mantello varia dal rossiccio al marrone
scuro, spesso con una stella bianca sul
petto, da adulto è alto circa due metri
e pesa fino a 230 chili. E’ lui il vero
alter ego di Yoghi: nonostante la mole,
infatti, ha un carattere socievole, non
ha paura dell’uomo e, anzi, ancora oggi
una delle principali preoccupazioni dei
ranger è evitare che rovisti nei bidoni
della spazzatura e che vada a
“mendicare” leccornie lungo le strade e
nei campeggi.
Diverso, invece, l’atteggiamento del
grizzly nei confronti dell’uomo, dettato
più dalla paura e dai suoi
handicap fisici che da vera
aggressività: infatti, non ci vede e non
ci sente bene, ma in compenso è
curiosissimo. Così tende ad avvicinarsi
molto a tutto ciò che non conosce, uomo
compreso, giusto per “vedere” di cosa si
tratta. Solo che non è carino trovarsi
davanti un bestione che può pesare anche
450 chili: meglio stare alla larga! Per
anni il grizzly è stato uno dei simboli
dell’America, ma ora il rischio di
estinzione pesa anche sulla sua testa:
si calcola che, al di fuori dell’Alaska,
ne sopravvivano non più di 800
esemplari.
Nella terra di Buffalo
Bill
Si respira aria da vecchio
West appena fuori da Yellowstone. E non
a caso, poco distante dall’area del
parco che compete allo stato del
Wyoming, c’è una città che si chiama
Cody e che vale la pena di visitare.
Già, perché quella città prende il nome
da William Frederick Cody, che altri non
era se non il mitico Buffalo Bill, che
incominciò appena quindicenne a entrare
nella leggenda, quando venne assunto
come pony express: arrivò a cavalcare in
22 ore per 520 chilometri quando un suo
compagno, che avrebbe dovuto dargli il
cambio, rimase ucciso in una sparatoria.
Se passate oggi per la città di Cody,
non mancate di visitare il Buffalo Bill
Historical Center: ne vale la pena
Per entrare nel mondo
del Parco, clicca
qui per vedere il
video
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