Acqua
turchese, ville sontuose e shopping di
lusso. Una Sardegna che non richiede
spiegazioni né rilanci. E’ quella che
calamita vip e mondanità da cinque
continenti. Ma c’ è anche un’altra
Sardegna del tutto insolita e più
appartata che vive un fascino tutto
speciale. Per esempio il fascino del Sud
Ovest, quel territorio che si stende
tra Oristano e Cagliari, fino alle isole
di Sant’Antioco e di San Pietro,
poco conosciute anche dagli stessi
isolani.
E se i centri più grandi sono toccati
dalla famosa Carlo Felice, la mitica
strada 131 che percorre tutta la
Sardegna, altri paesi rimangono fuori da
ogni rotta comune e bisogna andarli a
cercare con pazienza e tenacia.
Moltissimi gli spunti per un turismo
alternativo che, pur non dimenticando
gli splendidi sfondi marini, vada alla
scoperta dell’entroterra. Un turismo
fatto di interesse per le
stratificazioni storiche dell’isola e,
perchè no, anche per la storia del
lavoro e dell’archeologia industriale.
Da questo punto di vista è davvero
intrigante la novità del turismo
minerario. Nomi come Buggerru,
Masua, Porto Flavia, Montevecchio,
Monteponi, assolutamente sconosciuti
al grande pubblico e forse difficilmente
rintracciabili in una guida turistica,
sono oggi luoghi di enorme suggestione e
memoria. Per trovarli e goderli però
ricordiamo che non sono tutti facilmente
accessibili e che è indispensabile
prenotare le visite guidate a cura di
IGEA
segr.dir@igeaminiere.it ,
www.igeaminiere.it , che di
solito utilizza personale dipendente ed
esperto, a suo tempo impiegato nelle
miniere attualmente dismesse. Una volta
accettate le condizioni di visita su
appuntamento in determinati giorni della
settimana e gli itinerari tortuosi,
tutto sarà più facile. Il turismo
minerario in Sardegna si sviluppa in
grandissima parte nel territorio del
Sulcis Iglesiente che si stende intorno
a Carbonia Iglesias, appena
nominata capoluogo di provincia.
Provincia di Carbonia Iglesias e-mail:
provcarboniaiglesias@tiscali.it
tel. 0781.6695.1, tel.
0781.31095.
Un territorio ricchissimo di minerali,
soprattutto piombo e zinco, cioè galena
e blenda, sottoposto a massiccio
sfruttamento dalla metà dell’800. Certo,
c’erano stati in precedenza secoli e
secoli di scavo da parte di Cartaginesi,
Romani e Pisani, ma solo verso il 1850
cominciò un’opera organizzata di
sfruttamento industriale. La dinastia
sabauda cominciò a dare in concessione
singoli giacimenti alle grandi società
organizzate. Quasi tutte straniere,
franco-inglesi, con sede a Parigi o a
Londra, a parte quella del senatore
Giovani Sanna di Sassari, che divenne
“dominus” di Montevecchio.
Proprio qui, in questa località
ombreggiata, dove si arriva
inerpicandosi dalla costa occidentale
completamente selvaggia e quasi priva di
strade, si capisce l’organizzazione
della comunità mineraria: palazzo
dirigenziale, case, scuole, colonia al
mare, spaccio, monete battute
direttamente per la miniera. Con la
guida specializzata si visitano i
palazzi della società in stile liberty,
le Laverie, i pozzi in mattoni rossi
dalle linee neogotiche. Le miniere
coprivano tutto il territorio del Sulcis
Iglesiente e fu splendore economico fino
alla prima guerra mondiale, poi, per
varie cause, ci fu un calo
nell’estrazione, fino alla chiusura
degli ultimi cantieri nei recenti anni
Novanta. Ma soprattutto nel periodo tra
il 1850 e il 1915 e poi tra le due
guerre, le miniere del Sulcis sardo
produssero quantità enormi di minerali
piombo argentiferi e a Montevecchio le
officine inventarono nuovi sistemi di
scavo e brevetti che furono addirittura
acquistati in America. Un altro
villaggio tutto concentrato
sull’attività minerario era Buggerru,
sul mare, dove adesso sopravvivono solo
pochi anziani attaccati ai ricordi del
passato. Un passato
glorioso, per cui Buggerru conobbe per
primo la luce elettrica e l’automobile,
come pure i primi scioperi importanti.
Il monumento all’Eccidio di Buggerru
ricorda l’episodio del 1904 di
ribellione e protesta per ottenere
salari e orario più ragionevoli. Era una
Sardegna appena uscita dal medioevo
feudale, in cui si moriva di malaria o
di fame, che cominciava a conoscere le
prime leghe di solidarietà, insieme con
le più avanzate tecnologie industriali.
Se la miniera dava pane, lavoro e una
casa, costringeva a condizioni di lavoro
quasi disumane. Visitando pozzi e
gallerie e osservando gli strumenti di
lavoro, si comprendono bene alcuni
fenomeni sociali del tempo: morte per
silicosi, perdita degli arti a causa di
terribili scoppi inaspettati, paralisi
alle mani per l’utilizzo di martelli
pneumatici. Senza dimenticare tutto il
lavoro faticoso all’esterno della
miniera per cernere, fondere e
trasportare il materiale ai porti più
vicini. Per ovviare ai costi di
trasporto, nel 1924 fu ideata un’opera
geniale. Porto Flavia nacque per
evitare il lungo trasporto del minerale
che doveva essere imbarcato a mano su
ceste nelle barche a vela che andavano
poi a Carloforte, dove
attraccavano i grandi bastimenti del
Nord Europa. Porto Flavia è una
costruzione ardita che collega la
miniera di Masua tramite una lunga
galleria nella montagna direttamente con
il mare: al centro di una altissima
falesia sulla costa, davanti al curioso
Pan di Zucchero, si apre lo sbocco della
galleria dove i silos, con un complicato
sistema di nastri scorrevoli,
scaricavano il minerale direttamente
nelle stive delle navi accostate alla
roccia. I trenini per i visitatori
percorrono le gallerie, sbucando su
enormi distese dove si alzano come
moderni dinosauri tralicci arrugginiti,
pozzi, magazzini, pompe idrauliche,
forni, impianti di trasporto. Stesso
paesaggio alla miniera di San Giovannni
alla periferia di Iglesias, che nasconde
però un tesoro in più. E’ la grotta di
Santa Barbara, casualmente
scoperta nel 1952, un unico grande vano
ricco di formazioni cristalline, che
variano dal bianco calce all’arancio al
bruno.
Le isole dell’isola
Forse ancora più intriganti dell’ isola
madre, Sant’Antioco e San Pietro
sono una scoperta continua, raggiunte
con un lungo ponte e un traghetto di
breve durata. Sant’Antioco si sviluppa
intorno alle sue aree archeologiche
importantissime, che comprendono la
necropoli punica più vasta del
Mediterraneo con ipogei scavati nella
nuda roccia, il famoso Tophet o cimitero
dei bambini, che in un’area a cielo
aperto disponeva migliaia di urne
cinerarie di terracotta, gli ipogei
riutilizzati come abitazioni dalle
classi più povere del paese fino agli
anni ’50 e il nuovo ottimo Museo
archeologico, che testimonia i reperti
dell’antica Sulky fenicia. Un biglietto
cumulativo permette la visita dei
monumenti gestiti dalla cooperativa
Archeotur. Info: tel. 0781/841089
www.archeotur.it La
Casa del bisso invece è il
sorprendente laboratorio di Chiara Vigo
che con il suo telaio tramanda un’arte
millenaria e unica al mondo, la
lavorazione del bisso marino, filamento
che la pinna nobilis, un grande mollusco
bivalve, secerne per ancorarsi al fondo
del mare. Trattato e tessuto, questo
filamento diventa un prezioso filo dai
riflessi dorati utilizzato dalle caste
reali fin dall’antichità.
L’isola di San Pietro, ancora più
defilata dalle rotte turistiche, ha
conquistato l’attenzione internazionale
da quando Carloforte, unico centro
abitato, è protagonista del Girotonno,
che celebra ogni anno l’epica delle
tonnare e della mattanza. Studiosi ed
esperti di enogastronomia mediterranea
si danno appuntamento intorno alla
competizione tra chef di tutto il mondo,
chiamati a cimentarsi con ricette a base
di tonno.
www.girotonno.it
Saline invase da
miriadi di uccelli, spiagge bianche,
rocce, insenature frastagliate, natura
allo stato puro, bizzarre incrostazioni
scavate e battute dal maestrale sono le
attrazioni dell’isola, colonizzata nel
1735 dai liguri provenienti da Tabarka
in Tunisia che colsero l’occasione
offerta dal re di Sardegna per tornare
in Italia
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