Nel
1909 il geografo e geologo tedesco
barone Ferdinand von Richthofen pensò di
chiamare Via della Seta quell’insieme di
strade carovaniere lungo le quali
avevano transitato per secoli carichi di
merci esotiche – a cominciare proprio
dal prezioso tessuto – che
nell’antichità consentivano traffici
commerciali e scambi di prodotti tra
l’estremo Oriente e il bacino del
Mediterraneo, mettendo in contatto mondi
sconosciuti e civiltà assai diverse. In
realtà si dovrebbe parlare di vie al
plurale, in quanto in un lasso di tempo
lungo oltre un millennio e mezzo e su
una distanza superiore ai 7 mila
chilometri, non esisteva un unico
itinerario, bensì un’intricata rete di
percorsi che copriva tutta l’Asia, e che
se riusciva a spostare merci da un
estremo all’altro, serviva anche
egregiamente per muovere cose, uomini e
idee anche all’interno del continente
stesso, ad esempio tra sud e nord,
oppure nei suoi tratti mediani. Ecco
perché nessuno è mai riuscito a
stabilire un percorso univoco della Via
della Seta. Quello che sappiamo per
certo è che la produzione di stoffe di
seta nacque nella Cina sud-orientale
almeno nel 2.700 a.C. Per alcuni
millenni i cinesi riuscirono a mantenere
il segreto sul processo di produzione,
poi dovettero accontentarsi di
mantenerne il monopolio, cosa che hanno
in parte ancora oggi con l’ 82 % della
produzione mondiale. Già nel IV° sec.
a.C. la seta era nota in Occidente,
tanto che Greci e Romani chiamavano
Seres la Cina, cioè paese della seta.
Nella Roma repubblicana e imperiale
questo tessuto divenne ben presto un
vero status symbol della nobiltà, tanto
da pagarlo a peso d’oro. I due grandi
imperi dell’epoca cercarono più volte di
stabilire un contatto diretto, senza
però mai riuscirvi a causa della
rilevante distanza e delle difficoltà
che si frapponevano ad un così lungo
viaggio. Difficoltà che riuscivano
invece a superare le merci, grazie al
tornaconto economico dei mercanti.
Attorno al 550 i primi bachi giunsero a
Costantinopoli, ma l’interscambio
continuò intenso ancora per secoli,
perché oltre ai tessuti viaggiavano da
est ad ovest anche lacche, porcellane,
spezie e tè, mentre in senso inverso
andavano altre
spezie, profumi, pelli, metalli,
medicinali, oro, perle, diamanti,
coralli e vetri. E assieme alle merci
viaggiavano anche idee, conoscenze e
tecnologie. Su quelle rotte polverose
attraverso montagne, fiumi, steppe e
deserti si mossero eserciti, ma anche
fedi, come zoroastrismo, manicheismo,
nestorianesimo, buddismo, taoismo e
islam. Tanti fili sottili ma tenaci che
legarono tutto il mondo di allora, in
una globalizzazione ante litteram di
prodotti, uomini e acquisizioni.
Ovviamente non era la stessa carovana a
portare le merci da Xi’an in Cina ad
Antiochia in Siria: queste cambiavano
padrone, mezzo di trasporto, prezzo e
itinerario mille volte, ma alla fine
giungevano sempre a destinazione, dopo
un viaggio periglioso che non poteva
durare meno di 8 mesi. E a trasportarle
si alternavano buoi, yak, cavalli, muli,
cammelli e dromedari, in una
immaginabile babele di lingue. Lungo
questi percorsi mercantili sorsero oasi,
mercati, fortezze, caravanserragli e
città, e con il benessere economico
indotto fiorirono anche durature
civiltà. Tutto questo ben di Dio terminò
attorno al 1300, quando i minori costi
del trasporto marittimo e l’insicurezza
nell’Asia centrale dopo il crollo della
pax mongolica decretò la fine dei
commerci transcontinentali lungo la
gloriosa Via della Seta, appena poco
dopo i racconti lasciatici ne Il Milione
da Marco Polo. Un oblio che solo a
partire dall’inizio del 1900
l’archeologia sta tentando di riportare
in luce.
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NOTIZIE UTILI
L’operatore milanese “I Viaggi di
Maurizio Levi “ (tel.02 34 93 45 28,
www.deserti-viaggilevi.it ),
specialista in itinerari culturali nei
deserti di tutto il mondo, nel proprio
catalogo “Deserti” propone per grandi
viaggiatori una spedizione di 18 giorni
lungo il tratto più orientale della Via
della Seta, quello meno conosciuto e
frequentato da noi occidentali,
attraverso le estreme regioni
nord-occidentali della Cina. Punti forti
dell’itinerario le grotte buddiste sul
Fiume Giallo con una statua del Budda
alta 27 m, i monasteri tibetani di Xiahe,
l’estremo tratto orientale della Grande
Muraglia cinese, le alte dune del
deserto del Tennger, la città morta di
Khara Khoto distrutta da Gengis Khan e
ora affiorante dal deserto, le grotte di
Mogao nel deserto di Taklamakan protette
dall’Unesco e maggior tempio cinese,
l’oasi di Turpan e il miscuglio etnico
di Urumqi, dove convivono uyguri, kazaki,
pakistani, russi, cinesi e mongoli. Il
viaggio sarà accompagnato da un’esperta
guida italiana di lingua cinese.
Partenze di gruppo da Milano con voli di
linea via Pechino il 23 giugno, 14
luglio, 4 e 25 agosto e 15 settembre; la
quota da 3.700 euro comprende voli,
percorso in fuoristrada e pernottamenti
nei migliori alberghi esistenti con
pensione completa.
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