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Tra monasteri e montagne innevate 

di A. Maria Arnesano - foto di Giulio Badini

 

Inutile cercare in libreria guide su Kashmir e Ladakh. Non esistono, perché non si tratta di stati autonomi come altri regni himalayani, ma sono soltanto regioni dello stato indiano del Jammu, quello più settentrionale al confine con Pakistan e Cina, quindi si trovano descritti sulle guide dell’India. Due regioni totalmente diverse per geografia, ambiente e clima, ma in fondo complementari l’una all’altra. Il clima mite del Kashmir, le foreste, l’abbondanza d’acqua e la fertilità del terreno ricco di piante e di fiori incantarono già nel 1400 gli imperatori Moghul, che ne fecero il luogo prediletto dello loro vacanze – lontano dal soffocante caldo umido dell’estate indiana – riempiendo la valle di palazzi, padiglioni, templi e soprattutto di curatissimi giardini, imitati poi fino ad oggi da tutti i benestanti delle penisola, inglesi in testa. Srinagar, il capoluogo, che per molti secoli è stato uno dei principali centri culturali e filosofici dell’Asia, nonché crocevia di itinerari commerciali tra India, Asia Centrale e Cina, è un posto delizioso tra laghi, fiumi e canali, con case di legno dipinte a colori vivaci, anche se molti vivono su case galleggianti assai confortevoli e si spostano più sulle lunghe caratteristiche barche ad un remo che a piedi, così come tutto sull’acqua è il mercato; con sullo sfondo le alte vette del Karakorum. A rendere unico il Kashmir, le cui origini si perdono tra storia e leggenda – definita tra l’altro una delle regioni più belle dell’India -, furono le influenze greche, persiane, tibetane e cinesi. Divenne cuore commerciale (anche se la sua posizione non era tra le più semplici da raggiungere) perché qui arrivavano, dagli alti valichi, seta e spezie. Ancora oggi è considerato come una sorta di laboratorio/fucina da dove escono prodotti artigianali realizzati secondo antiche tradizioni: basti pensare alle sciarpe e agli scialli morbidissimi “pashmina”, alla lana particolarmente pregiata che porta lo stesso nome o ai bellissimi tappeti dai colori che richiamano quello che è il paesaggio naturale; il rosa delicato degli alberi di pesco in fiore, il rosso cangiante delle ciliegie piuttosto che il giallo dello zafferano coltivato in notevole quantità.

Ladakh, il “Piccolo Tibet”
Per raggiungere il Ladakh “la terra degli alti passi” (questo il significato letterale di La-Dags, diventato poi Ladakh) occorre inerpicarsi lungo le pareti precipiti della catena del Karacorum su strade sterrate mozzafiato che superano passi posti a 4 e 5.000 m di altezza. Questa regione, chiamata anche Piccolo Tibet, aperta al turismo solo dal 1974 e accessibile soltanto da maggio a settembre, è un mondo di pietra di paesaggi lunari e di deserti d’alta quota, prosecuzione dell’altopiano tibetano tra le cime dell’Himalaya, che offre minuscoli spiazzi coltivabili solo nei ristretti fondivalle, dove i campi di grano saraceno regalano un tocco di verde. Grande un terzo dell’Italia ma abitato da appena 150 mila persone, consente un’economia di mera sussistenza per l’aridità del suolo, gelato per la gran parte dell’anno, e per la penuria d’acqua dovuta – incredibilmente – alle scarse precipitazioni; per non dover dividere case, terreni e mandrie si deve ancora ricorrere alla poliandria, con un’unica donna sposata a più fratelli, e qualche figlio monaco. La maggior attrattiva del paese è costituita proprio dai numerosi monasteri buddisti lamaisti, come tibetana è l’etnia, la cultura e la lingua. Oggi, dopo la distruzione dei templi e della cultura buddista in Tibet ad opera dei cinesi, il Ladakh costituisce il luogo migliore per conoscere questo peculiare mondo spirituale. Gli stupendi capolavori d’arte celati nei “gompa” (monasteri fortificati), i preziosi libri amanuensi in pergamena, le feste con danze in abiti coloratissimi, i curiosi copricapo, le preghiere dei monaci a base di canti mistici, le campanelle, il clamore dei cembali, il suono dei lunghi corni d’ottone regalano emozioni indescrivibili, tali da ben giustificare le scomodità di un viaggio in una terra tanto remota e fuori dal mondo.

Da Delhi a Shimla
Un itinerario ideale parte dalla capitale Delhi, dove si visita in particolare la città vecchia; in treno si raggiunge Amristar, capoluogo dello stato del Punjab, per visitare il famoso Tempio d’Oro, luogo sacro dei Sikh, e in aereo si arriva a Srinagar, la città più a nord dell’India. Dopo aver ammirato palazzi di varie epoche, templi di varie religioni e gli splendidi giardini moghul, si inizia a risalire l’alta valle del Kashmir lungo le pendici del Karacorum tra canyon, nevai e ghiacciai, con sullo sfondo le più alte montagne della terra. Caratteristiche che accompagneranno per tutto il resto del percorso. Entrati in Ladakh si visitano piccoli villaggi e numerosi monasteri, che ne costituiscono la principale attrattiva, ma resta anche il tempo per percorrere la carrozzabile più alta del pianeta, solo di recente aperta agli stranieri, e per osservare le incredibili dune di sabbia di Hundar, un vero deserto d’alta quota circondato da ghiacciai. Il percorso di ritorno dal capoluogo Leh avviene lungo le pendici meridionali dell’Himalaya, tra scenari sempre esaltanti, con la vegetazione che aumenta man mano che si scende; si attraversa lo stato indiano montuoso e collinare dell’Himacal Pradesh fino a Shimla, da dove si rientra in treno a Delhi.
 

 

 

NOTIZIE UTILI

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