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Cicloturismo all’Isola di Pasqua

di Carlo Ferrari

 

Il mezzo meccanico affittatomi è marca pistola persino nel grasso che, impastato con la terra di questo punto sul mappamondo, rende il fatto che la catena faccia il suo lavoro un mistero pari al significato delle centinaia di testoni di pietra che hanno reso famosa Rapa Nui e che da secoli fondono le meningi degli archeologi più eminenti. In ogni caso, un marcio pennello ed un poco di gasolina riordinano alla meglio il tutto, e si può partire per “la vuelta de la Isla de Pasqua”.
E’ un poco difficile indicare un percorso preciso o addirittura più percorsi con tanto di progressive chilometriche; esiste la possibilità di un girotondo completo, così come di dividerlo in due semigiri tagliando per la strada centrale, ma si perderebbero comunque importanti e suggestivi luoghi che un amante delle scoperte con la compagnia della bicicletta non può perdere. D’altronde, su questa isola è molto difficile giocare al risparmio, sempre che un cicloturista abbia mai voglia di farlo: l’atmosfera, il clima, la docilità dei percorsi e la suggestione dei luoghi farebbero continuare la giornata all’ infinito. Eppoi l’isola di Pasqua è l’Isola di Pasqua! Oserei dire la più conosciuta delle isole così lontane che uno pensa non ci andrà mai. Era da bambino che volevo vederla, e quasi un misto di impazienza e commozione ha cancellato di colpo le 22 ore di aereo che fin qui mi hanno portato. La prima pedalata deve essere fatta per forza di cose al cratere del vulcano Rano Kau o alla cima del Maunga Tarevaka, 506 mt., il rilievo più alto dell’ isola, per prendere cognizione del senso di isolamento. “Mata Ki Te Rangi”, “Gli occhi che guardano il cielo”, fu uno dei nomi con cui anticamente veniva chiamata, e “Te pito o te henua”, che tradotto significa “L’ombelico del Mondo”, rappresentato fisicamente nella pietra sferica che si incontra nei pressi di Baia La Perouse. Probabilmente nessun nome fu più azzeccato, vista la distanza che la separa dagli insediamenti più vicini. A noi è arrivata col nome indigeno di “Rapa Nui”, “la grande roccia”.

Una sgambata verso il Rano Kau
Al Maunga Tarevaka, se si hanno buone gambe, non c’è che l’ imbarazzo della scelta per scegliere l’ itinerario di salita, tanti sono i sentieri che lo circondano, mentre per gli appassionati del più sfrenato downhill, compatibilmente con la qualità delle biciclette reperibili, non c’è che prendere una direzione e lasciarsi andare verso il basso. Salire al Rano Kau è poco più di una sgambata appena fuori l’ abitato di Hanga Roa; arrivati sul bordo del cratere, vale senz’altro la pena raggiungere la falesia a picco sul mare per ammirare uno spettacolo non indifferente. L’infinito dell’oceano da un lato e lo specchio della laguna interna al cratere dall’altro, su sponde di roccia di una imponenza e regolarità grandiose: è da qui che si gode una vista su tutto il triangolo che costituisce il perimetro dell’ isola. Esistono altri tre vulcani minori, anch’essi ormai spenti: il Pu A Katiki, che forma il promontorio est della penisola Poike; il Rano Raraku, che diede agli isolani il tufo vulcanico per scolpire i giganteschi moai; il Puna Pau, che forniva la scoria rossastra dalla quale si ricavavano i pukao, le acconciature che sormontano alcune statue, mentre gli occhi erano fatti di corallo ed ossidiana. Il Rano Raraku vi porterà via talmente tante fotografie che neppure immaginate, e non solo a Piro Piro, il moai con i lineamenti meglio conservati. Dalla cima, la vista incontra spunti indimenticabili a 360°, integrati dalle decine di statue sparse attorno come funghi in un libro di fiabe. Ad est, la falesia precipita come una galleria di teatro sul palcoscenico che all’orizzonte sorregge i quindici moai dell’ Ahu Tongariki, dove chi ha voglia di presentarsi al sorgere del sole caverà il meglio dalla propria camera fotografica e proverà l’emozione di trovarsi al cospetto di un’opera dell’uomo che ha passato i secoli intatta e magari divertita che la propria semplicità costruttiva ed estetica abbia suscitato cotanto stupore ed interesse.

Il piatto forte di Rapa Nui
A mio parere, proprio la semplicità e l’aria selvaggia sono il piatto forte di Rapa Nui. Non vi sono costruzioni al di fuori delle piccole abitazioni di Hanga Roa, non vi sono baie turchesi protette da riffs corallini, solo le minuscole spiagge di Anakena ed Ovahe sulla costa settentrionale. Poche palme da cocco, qualche piccola macchia boschiva qua e là e per il resto distese di erba per mucche e cavalli. Nessun macaco filo-yankee a scorrazzare su acquascooters, né ultramoderni music-pubs con musica a squarciaorecchi e soprattutto nessuna filiale di locali canonizzati dallo establishment mondiale di chi viaggia non per vedere ma per farsi vedere. Zero negozi di lusso, zero pelandroni sfaccendati scassapalle, ma nativi gentili cui basta incrociare lo sguardo perché accennino un inchino del capo con un compassato “iorana!” (buongiorno). Insomma, niente di tutto quanto in tredici anni di viaggi ho visto trasformare posti incantevoli in set cinematografici sintetici e pesanti. La vita è quella di tutti i giorni, e tutti i giorni anche il forestiero si ritrova facilmente coinvolto in essa: esci di casa per fare foto al mercato dell’ artigianato e ti ritrovi ad ascoltare una seduta del “Parlamiento de Rapa Nui”, tre pareti di assi ed otto panche di legno affacciate sul marciapiede di calle Atamu Tekena, dove si lamenta costantemente la mancata indipendenza da Santiago. Qui Pinochet non è praticamente mai arrivato con le torture e le sparizioni, ma le fobie nazionaliste proibirono di parlare la lingua nativa nelle scuole, dove orgogliosamente veniva e viene tuttora tramandata alle giovani generazioni, insieme alla storia spesso travagliata di questo piccolissimo triangolo di lava vulcanica incastonato nell’immensità dell’Oceano Pacifico, addirittura il luogo abitato più remoto al mondo! Condannato a subire, come chiunque sia piccolo e voglia essere lasciato in pace, le prepotenze colonizzatrici dei soliti e persino degli inaspettati. Sulla piazza del paese il busto dell’ammiraglio cileno Policarpo Toro sta lì a celebrare, come spesso succede su tante piazze di questo mondo, un avvenimento che tutti vorrebbero dimenticare e soprattutto imposto con la forza: l’annessone al Cile del 1888. Oserei dire che, con quello che i forestieri hanno rappresentato da queste parti negli ultimi 300 anni o poco meno, miglior ambiente ed accoglienza non si possano trovare, e migliori sensazioni non si possano provare, se non affittarsi una bicicletta e concedersi quello che dovunque ci sarebbe vietato, cioè pedalare qualche giorno in una vera e propria sala di museo che profuma di favola e di infinito.

 

 

NOTIZIE UTILI

Per arrivare - Il Cile è raggiungibile da dodici scali italiani, con Air France via Parigi, con prezzi ottimi ed orari comodissimi. L’isola di Pasqua si raggiunge esclusivamente da Santiago del Cile con Lan Chile.
Per dormire - Evitare gli alberghi a pensione completa, troppo costosi senza che ne valga la pena. Ottimi gli alloggiamenti notte + colazione, che in bassa stagione valgono dai 20 ai 30 US$ per una doppia con bagno privato ed una buona colazione.
Avviso: Io ho soggiornato al “Chez Cecilia” e lo sconsiglio (la Lonely Planet lo ha tolto dalla guida).
Per mangiare - Alla caleta Hanga Roa, proprio dirimpetto al lato corto del campo di calcio, ci sono due ottimi ristoranti, il Caleta Otai, che insieme ad ottimi piatti di pesce serve degli spaghetti perfetti, ed il Merahi Ra’a, le cui portate di pesce alla piastra (tonno, cana-cana, toremo, mata-huira, paratoti, remo-remo) sono buonissime e generose.
Quando andare - Gennaio e Febbraio sono i mesi più caldi ma anche quelli a maggior frequentazione turistica. Ottobre è il limite massimo della bassa stagione per quanto riguarda il costo degli alberghi e dei noleggi; la temperatura è ottima per girare in bicicletta. E’ il periodo dell’ anno considerato meno piovoso, non c’è gente in ogni angolo dell’isola e si può arrivare senza prenotare l’albergo, dunque spendendo molto meno.
Documenti ed altro - E’ necessario il passaporto con scadenza minima a sei mesi. Il visto è valido 90 giorni ed è rilasciato gratuitamente all’arrivo. L’ acqua è potabile ovunque. C’è un piccolo ospedale per le cure di prima necessità. Conviene arrivare con il quantitativo di spesa preventivato in dollari americani liquidi (o pesos), perché ai pagamenti con carta di credito viene aggiunto un 10%.
Cosa comprare - Obbligatorio il moai con tanto di “pukao “(acconciatura) rossa sul capo ed occhi. Molto belli gli oggettini di legno scolpito. Indispensabile (per visitare l’isola) e bel ricordo è la mappa della “JLM mapas” Isla de Pascua-trekking map, scala 1:32000. Prezzo 7US$.
Cosa portare - Vestiario estivo più un pile leggero ed un giacchettino antiacqua. Pantaloni e scarponcini trekking-bici. Io avevo quelli distribuiti dalla Northwave ed hanno funzionato benissimo. Non dimenticate le creme e gli occhiali per proteggervi dal sole, che a Rapa Nui è particolarmente forte, ottimi i Revo a lente polarizzata.
Indirizzi utili: Ufficio commerciale e turistico del Cile, Passaggio degli Osii, 2 - Milano - Tel.02.864093 - Fax 02.8692172 - prochile@tin.it.
A Santiago contattare “Sernatur” - Av.da Providencia, 1550 - Fax 0056.2.2518469 - info@sernatur.cl - WWW.SERNATUR.CL WWW.VISIT-CHILE.ORG
Le biciclette (jeeps, moto enduro, pulmini) si affittano presso “Oceanic”, in calle Atamu Tekena (caroceanic@123mail.cl) e da “Mana Nui”, sempre in calle Atamu Tekena (mananuiinn@entelchile.net), al prezzo di 5 US$ al giorno.
 

 

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