Il mezzo meccanico affittatomi è marca
pistola persino nel grasso che,
impastato con la terra di questo punto
sul mappamondo, rende il fatto che la
catena faccia il suo lavoro un mistero
pari al significato delle centinaia di
testoni di pietra che hanno reso famosa
Rapa Nui e che da secoli fondono le
meningi degli archeologi più eminenti.
In ogni caso, un marcio pennello ed un
poco di gasolina riordinano alla meglio
il tutto, e si può partire per “la
vuelta de la Isla de Pasqua”.
E’ un poco difficile indicare un
percorso preciso o addirittura più
percorsi con tanto di progressive
chilometriche; esiste la possibilità di
un girotondo completo, così come di
dividerlo in due semigiri tagliando per
la strada centrale, ma si perderebbero
comunque importanti e suggestivi luoghi
che un amante delle scoperte con la
compagnia della bicicletta non può
perdere. D’altronde, su questa isola è
molto difficile giocare al risparmio,
sempre che un cicloturista abbia mai
voglia di farlo: l’atmosfera, il clima,
la docilità dei percorsi e la
suggestione dei luoghi farebbero
continuare la giornata all’ infinito.
Eppoi l’isola di Pasqua è l’Isola di
Pasqua! Oserei dire la più conosciuta
delle isole così lontane che uno pensa
non ci andrà mai. Era da bambino che
volevo vederla, e quasi un misto di
impazienza e commozione ha cancellato di
colpo le 22 ore di aereo che fin qui mi
hanno portato. La prima pedalata deve
essere fatta per forza di cose al
cratere del vulcano Rano Kau o alla cima
del Maunga Tarevaka, 506 mt., il rilievo
più alto dell’ isola, per prendere
cognizione del senso di isolamento.
“Mata Ki Te Rangi”, “Gli occhi che
guardano il cielo”, fu uno dei nomi con
cui anticamente veniva chiamata, e “Te
pito o te henua”, che tradotto significa
“L’ombelico del Mondo”, rappresentato
fisicamente nella pietra sferica che si
incontra nei pressi di Baia La Perouse.
Probabilmente nessun nome fu più
azzeccato, vista la distanza che la
separa dagli insediamenti più vicini. A
noi è arrivata col nome indigeno di
“Rapa Nui”, “la grande roccia”.
Una sgambata verso il Rano Kau
Al Maunga Tarevaka, se si hanno buone
gambe, non c’è che l’ imbarazzo della
scelta per scegliere l’ itinerario di
salita, tanti sono i sentieri che lo
circondano, mentre per gli appassionati
del più sfrenato downhill,
compatibilmente con la qualità delle
biciclette reperibili, non c’è che
prendere una direzione e lasciarsi
andare verso il basso. Salire al Rano
Kau è poco più di una sgambata appena
fuori l’ abitato di Hanga Roa; arrivati
sul bordo del cratere, vale senz’altro
la pena raggiungere la falesia a picco
sul mare per ammirare uno spettacolo non
indifferente. L’infinito dell’oceano da
un lato e lo specchio della laguna
interna al cratere dall’altro, su sponde
di roccia di una imponenza e regolarità
grandiose: è da qui che si gode una
vista su tutto il triangolo che
costituisce il perimetro dell’ isola.
Esistono altri tre vulcani minori,
anch’essi ormai spenti: il Pu A Katiki,
che forma il promontorio est della
penisola Poike; il Rano Raraku, che
diede agli isolani il tufo vulcanico per
scolpire i giganteschi moai; il Puna Pau,
che forniva la scoria rossastra dalla
quale si ricavavano i pukao, le
acconciature che sormontano alcune
statue, mentre gli occhi erano fatti di
corallo ed ossidiana. Il Rano Raraku vi
porterà via talmente tante fotografie
che neppure immaginate, e non solo a
Piro Piro, il moai con i lineamenti
meglio conservati. Dalla cima, la vista
incontra spunti indimenticabili a 360°,
integrati dalle decine di statue sparse
attorno come funghi in un libro di
fiabe. Ad est, la falesia precipita come
una galleria di teatro sul palcoscenico
che all’orizzonte sorregge i quindici
moai dell’ Ahu Tongariki, dove chi ha
voglia di presentarsi al sorgere del
sole caverà il meglio dalla propria
camera fotografica e proverà l’emozione
di trovarsi al cospetto di un’opera
dell’uomo che ha passato i secoli
intatta e magari divertita che la
propria semplicità costruttiva ed
estetica abbia suscitato cotanto stupore
ed interesse.
Il piatto forte di Rapa Nui
A mio parere, proprio la semplicità e
l’aria selvaggia sono il piatto forte di
Rapa Nui. Non vi sono costruzioni al di
fuori delle piccole abitazioni di Hanga
Roa, non vi sono baie turchesi protette
da riffs corallini, solo le minuscole
spiagge di Anakena ed Ovahe sulla costa
settentrionale. Poche palme da cocco,
qualche piccola macchia boschiva qua e
là e per il resto distese di erba per
mucche e cavalli. Nessun macaco
filo-yankee a scorrazzare su
acquascooters, né ultramoderni
music-pubs con musica a squarciaorecchi
e soprattutto nessuna filiale di locali
canonizzati dallo establishment mondiale
di chi viaggia non per vedere ma per
farsi vedere. Zero negozi di lusso, zero
pelandroni sfaccendati scassapalle, ma
nativi gentili cui basta incrociare lo
sguardo perché accennino un inchino del
capo con un compassato “iorana!”
(buongiorno). Insomma, niente di tutto
quanto in tredici anni di viaggi ho
visto trasformare posti incantevoli in
set cinematografici sintetici e pesanti.
La vita è quella di tutti i giorni, e
tutti i giorni anche il forestiero si
ritrova facilmente coinvolto in essa:
esci di casa per fare foto al mercato
dell’ artigianato e ti ritrovi ad
ascoltare una seduta del “Parlamiento de
Rapa Nui”, tre pareti di assi ed otto
panche di legno affacciate sul
marciapiede di calle Atamu Tekena, dove
si lamenta costantemente la mancata
indipendenza da Santiago. Qui Pinochet
non è praticamente mai arrivato con le
torture e le sparizioni, ma le fobie
nazionaliste proibirono di parlare la
lingua nativa nelle scuole, dove
orgogliosamente veniva e viene tuttora
tramandata alle giovani generazioni,
insieme alla storia spesso travagliata
di questo piccolissimo triangolo di lava
vulcanica incastonato nell’immensità
dell’Oceano Pacifico, addirittura il
luogo abitato più remoto al mondo!
Condannato a subire, come chiunque sia
piccolo e voglia essere lasciato in
pace, le prepotenze colonizzatrici dei
soliti e persino degli inaspettati.
Sulla piazza del paese il busto
dell’ammiraglio cileno Policarpo Toro
sta lì a celebrare, come spesso succede
su tante piazze di questo mondo, un
avvenimento che tutti vorrebbero
dimenticare e soprattutto imposto con la
forza: l’annessone al Cile del 1888.
Oserei dire che, con quello che i
forestieri hanno rappresentato da queste
parti negli ultimi 300 anni o poco meno,
miglior ambiente ed accoglienza non si
possano trovare, e migliori sensazioni
non si possano provare, se non
affittarsi una bicicletta e concedersi
quello che dovunque ci sarebbe vietato,
cioè pedalare qualche giorno in una vera
e propria sala di museo che profuma di
favola e di infinito. |
NOTIZIE UTILI
Per arrivare - Il Cile è
raggiungibile da dodici scali italiani,
con Air France via Parigi, con prezzi
ottimi ed orari comodissimi. L’isola di
Pasqua si raggiunge esclusivamente da
Santiago del Cile con Lan Chile.
Per dormire - Evitare gli
alberghi a pensione completa, troppo
costosi senza che ne valga la pena.
Ottimi gli alloggiamenti notte +
colazione, che in bassa stagione valgono
dai 20 ai 30 US$ per una doppia con
bagno privato ed una buona colazione.
Avviso: Io ho soggiornato al “Chez
Cecilia” e lo sconsiglio (la Lonely
Planet lo ha tolto dalla guida).
Per mangiare - Alla caleta Hanga
Roa, proprio dirimpetto al lato corto
del campo di calcio, ci sono due ottimi
ristoranti, il Caleta Otai, che insieme
ad ottimi piatti di pesce serve degli
spaghetti perfetti, ed il Merahi Ra’a,
le cui portate di pesce alla piastra
(tonno, cana-cana, toremo, mata-huira,
paratoti, remo-remo) sono buonissime e
generose.
Quando andare - Gennaio e
Febbraio sono i mesi più caldi ma anche
quelli a maggior frequentazione
turistica. Ottobre è il limite massimo
della bassa stagione per quanto riguarda
il costo degli alberghi e dei noleggi;
la temperatura è ottima per girare in
bicicletta. E’ il periodo dell’ anno
considerato meno piovoso, non c’è gente
in ogni angolo dell’isola e si può
arrivare senza prenotare l’albergo,
dunque spendendo molto meno.
Documenti ed altro - E’
necessario il passaporto con scadenza
minima a sei mesi. Il visto è valido 90
giorni ed è rilasciato gratuitamente
all’arrivo. L’ acqua è potabile ovunque.
C’è un piccolo ospedale per le cure di
prima necessità. Conviene arrivare con
il quantitativo di spesa preventivato in
dollari americani liquidi (o pesos),
perché ai pagamenti con carta di credito
viene aggiunto un 10%.
Cosa comprare - Obbligatorio il
moai con tanto di “pukao “(acconciatura)
rossa sul capo ed occhi. Molto belli gli
oggettini di legno scolpito.
Indispensabile (per visitare l’isola) e
bel ricordo è la mappa della “JLM mapas”
Isla de Pascua-trekking map, scala
1:32000. Prezzo 7US$.
Cosa portare - Vestiario estivo
più un pile leggero ed un giacchettino
antiacqua. Pantaloni e scarponcini
trekking-bici. Io avevo quelli
distribuiti dalla Northwave ed hanno
funzionato benissimo. Non dimenticate le
creme e gli occhiali per proteggervi dal
sole, che a Rapa Nui è particolarmente
forte, ottimi i Revo a lente
polarizzata.
Indirizzi utili: Ufficio
commerciale e turistico del Cile,
Passaggio degli Osii, 2 - Milano - Tel.02.864093
- Fax 02.8692172 -
prochile@tin.it.
A Santiago contattare “Sernatur” - Av.da
Providencia, 1550 - Fax 0056.2.2518469 -
info@sernatur.cl -
WWW.SERNATUR.CL –
WWW.VISIT-CHILE.ORG
Le biciclette (jeeps, moto enduro,
pulmini) si affittano presso “Oceanic”,
in calle Atamu Tekena
(caroceanic@123mail.cl) e da “Mana
Nui”, sempre in calle Atamu Tekena
(mananuiinn@entelchile.net), al
prezzo di 5 US$ al giorno.
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