Con le quote che presenta, la Bolivia è
uno degli ultimi paesi al Mondo a cui
venga voglia di associare la parola
bicicletta. Ma io sono sì un
viaggiatore, soprattutto un
cicloturista, e una rotolata giù, per
quella che viene definita “la strada più
pericolosa del Mondo”, proprio non
volevo perderla: 3500 metri di
dislivello per 77km di sviluppo. Va
detto in tutta franchezza che il settore
centrale, cioè ben 60 Km. di sterrato,
spesso fangoso e sotto il battito
sottile ma deciso, di due cascate,
presenta esposizioni al vuoto costanti e
notevoli. L’esiguo spazio della
carreggiata, che di tanto in tanto si
allarga in piazzole per permettere ai
veicoli in transito di incrociarsi, non
toglie la sensazione di sentirsi
pedalanti tra terra e cielo. Ma, a mio
parere, il vero “must” di questa
piccola-grande avventura è la variazione
ambientale in cui essa ha luogo. Il
fatto stesso di arrivare col pulmino ai
4750m del passo de “ La Cumbre” non ti
fa sentire così in alto, ma quattro
pedalate di riscaldamento ti riportano
subito alla realtà di un fiatone
himalayano.
Appena partiti la discesa è subito forte
per 25 Km asfaltati e punteggiati ai
lati da piccole case di fango essiccato,
dove non si capisce come e perché vivano
soggetti dentro la testa dei quali mi
piacerebbe tanto essere per sapere cosa
pensano di questi deficienti che pagano
quello che loro a malapena guadagnano in
quindici giorni di lavoro per buttarsi
giù per questa sfigatissima pista che
chissà quante volte hanno maledetto. I
conducenti di camions e pulmini,che
portano stipata all’ inverosimile merce
varia e merce umana, guidano che
sembrano a Monza: il clacson è un’
istituzione, l’acceleratore un dovere,
il freno una seccatura. La processione
di lapidi che ci accompagnerà da qui
alla fine batte un camposanto di guerra
delle Ardenne ed è il riassunto del
discorso. Al chilometro 25, usciti da un
breve e umido tunnel, c’è l’ unico
tratto di salita da affrontare,
discontinua, dolce, 4 km. Scarsi; ma a
questa quota, circa 3700 m, sembra il
Mortirolo.Ed eccoci ad Unduavi, dove
inizia ad apparire la prima vegetazione
e l’impatto con l’aria si fa tiepido. Un
check-point della polizia perquisisce
minuziosamente ogni mezzo in transito.
Questa è l’unica strada che porta alle
Yungas, zona di coltivazione della coca,
e le merci proibite sono i reagenti
chimici atti alla raffinazione della
cocaina. Sembra addirittura facciano sul
serio tanto sono fiscali, ma il turista
ciclista è esente da sospetti e passa
come una biscia tra la calca.
La prima discesa da brivido
In un paesaggio sempre più tropicale
arriviamo a Chuspipata. Pranziamo in un
comedor, dove sostano tutti i camionisti
in transito, e, come vuole la
tradizione, si mangia bene. Inizia a
fare caldo. Da qui parte la vera discesa
da brivido. Poco più sotto, la fitta
giungla preannuncia una ulteriore salita
di temperatura, mentre sul ciglio una
lapide con la stella di Davide fa le
dovute raccomandazioni. Otto israeliani
in fuoristrada hanno visto la strada
diritta dove invece curvava, e tutti e
otto sono finiti a sperare che Allah non
esista. Si parte, in fila indiana con il
pulmino di servizio in coda: da qui a
Yolosa si dovrà marciare a sinistra,
perché i veicoli in salita hanno la
precedenza e gli slarghi sono lato
burrone. Incrociamo camions carichi da
far bestemmiare le balestre, vecchi, con
gomme lisce. Come sarà possibile
manovrare certe trappole catarrose, su
queste rive a tratti cedevoli e sempre
esposte, lo sa solo Dio o forse manco
lui. Sostiamo un attimo davanti ad una
nuova stella giudea. Altra israeliana,
in bicicletta, è andata diritta proprio
dove la falesia cade a picco per tutti i
suoi 1500 metri. Nessuno era mai morto
con la bici su questa infausta sterrata;
quest’ anno sono già tre, tutti per
colpa della velocità e di aver
sottovalutato l’ambiente là dove sembra
più facile. Inoltre il traffico è molto
più consistente di quanto si possa
immaginare e non tutti gli autisti hanno
tanto senso quanto cavetto dell’
acceleratore. Grazie a Dio ci pensa
sempre una guancia piena di coca a
tenerli svegli, quando non la mischiano
con sorsi di alcool a 95°. Il record è
comunque detenuto da un autista di
camion che, qualche anno fa, è volato
con 100 persone ed il suo trabiccolo
adibito ad autobus abusivo.
Dalla gola sale un banco di nebbia,
normale nelle foreste tropicali, e per
fortuna il passaggio sotto le due
cascate non è dei più bagnati: la
stagione delle piogge può attendere. Chi
non può attendere è Timotèo, che da ben
18 anni si è inventato il mestiere di
semaforo umano al “balconcillo”, un
insidioso incrocio a gomito sospeso. Con
due gigantesche palette, una rossa e una
verde, stabilisce le precedenze e, con
le stesse, raccoglie le mance che gli
autisti lanciano al volo. In Sudamerica
tutto è coreografia, e lui si presta
volentieri alle macchine fotografiche e,
nei momenti morti, piazza esche per
catturare serpenti, che vende non si
capisce bene a chi. Chiedetegli di
mostrarvene qualcuno. Nella parte finale
la strada si allarga, diventa
polverosissima e la foresta, sempre più
rasa al suolo, fa spazio a campi
coltivati a coca e ad abitazioni di
adobes, via via più numerose
nell’avvicinarsi a Yolosa, altro buco di
mondo sprofondato nella selva. Una
dozzina di chioschi a destra e una a
sinistra, che fungono anche da casa per
chi li maneggia, rumenta e polvere per
ogni dove ed un cesso pubblico che non
si capisce chi lo usi, visto che tutti
urinano contro le ruote dei camions. E’
un capolinea di tutto quanto si sposti
su ruote da e per le Yungas, fine della
nostra piccola grande avventura. Ci sono
un paio di rubinetti che buttano acqua
fresca e, in apparenza, pulita.
Carichiamo le bici sul pulmino e via a
ritroso verso La Paz. Non abbiamo fatto
nulla di particolare, nessuno di noi si
sente Nembo-Kid o il dottor Livingstone,
abbiamo solo percorso una nuova strada
delle tante che portano noi viaggiatori
a soddisfare questo insopprimibile
bisogno di collezionare sul nostro album
di figurine volti e luoghi di questo
mondo fatto, in fondo, apposta per
questo. |