Non è così famosa come la Valtellina,
non è così mondana come l’Engadina. Ma
la Valchiavenna è una valle da scoprire
pazientemente con lunghe passeggiate,
escursioni a mezza costa, soste nei
crotti e nei palazzi nobiliari della
cittadina che dà nome al territorio.
Chiavenna si trova all’imbocco delle due
valli, che salgono al Passo dello Spluga
e l’altra al Passo del Maloja, ed è
coronata dalle Alpi Lepontine e dalle
Alpi Retiche. Neve e monti intorno, ma
un posizione riparata dai venti freddi
del Nord e influenzata piacevolmente dal
clima mite del lago. Chiavenna è
collocata sui depositi di frana che
diedero luogo in tempi remotissimi alla
formazione dei crotti, caverne così
tipiche della Valchiavenna da essere
simbolo delle festività e della
gastronomia locale.
Da quella frana derivano anche le famose
Marmitte dei Giganti, mentre in basso
scorre il torrente Mera, in centro
città, tra i palazzi solenni del centro
storico, ponti romantici e ruote di
mulini. L’origine del centro storico di
Chiavenna risale agli inizi del ‘500 e
ricalca l’impianto medievale,
presentando strette vie caratteristiche
che costituiscono la sua tipica
fisionomia pittoresca. Il XVII sec. vide
il transito delle truppe dei
lanzichenecchi, che distrussero e
saccheggiarono tutto quanto incontrato
sul loro cammino e seminarono il morbo
della peste. Successivamente si
raggiunse una stabilità in campo
religioso e la valle riprese a
prosperare grazie ai commerci e ai
trasporti. Questo luogo era il punto di
partenza di numerosi sentieri storici,
come la via Spluga, la strada della
Forcola, la via Bregaglia, la strada che
da Savogno porta in Valle di Lei,
tracciati alpini attraverso i quali
passarono greggi, commerci, uomini in
armi, contrabbando ed idee. Mentre
l’economia della valle era in passato
basata essenzialmente sui trasporti e
sui traffici commerciali, dopo
l’apertura del traforo del Gottardo,
Chiavenna è riuscita a mantenere una
certa agiatezza grazie all’industria
cotoniera e alla produzione della birra.
E i palazzi del centro, che testimoniano
la ricchezza del passato, sono ancora
pieni di vita. Non solo i palazzi
testimoniano la ricchezza, ma anche la
Collegiata di San Lorenzo, dove è
conservata una preziosa coperta di
Evangelario detta “Pace di Chiavenna”.
La coperta è costi¬tuita da una tavola
in legno di noce su cui sono montate 25
lamine d’oro di va¬rie dimensioni,
alcune lavorate a sbal¬zo, altre con
inserti di gemme, perle, smalti e
filigrana d’oro. Domina al cen¬tro una
croce greca ornata da gemme e perle
disposte a croce entro castoni
dentellati, su un fondo di racemi in
fili¬grana di lavorazione molto
raffinata. Le scritte intorno alla base
centrale fanno pensare all’intervento di
un artefice illetterato, mentre la mano
dell’artista creatore è decisamente
eccellente.
Il mulino dell'ex pastificio Moro
Da un tesoro all’altro. Bottonera è il
mulino dell’ex pastificio Mo¬ro, che
sorge nel quar¬tiere artigiano di
Chiavenna, edificato nell’8OO nella
parte alta del borgo. Qui le varie
attività utilizzavano l’acqua del fiume
Mera attra¬verso una rete di canali che
fornivano la forza motrice a mulini, ad
una cartiera, un maglio, due fabbriche
di ovat¬ta, concerie, falegnamerie,
birrifici e un pastificio. I canali
ebbero la loro impor¬tanza sino alla
fine degli anni ‘40 quando furono
soppiantati dall’energia idroelettrica,
pe¬raltro già presente in valle dal
1894. Trenta anni prima, nel Mulino
Bottonera della famiglia Moro erano
state in¬stallate quattro macine delle
Officine meccaniche ita¬liane di Monza,
mentre nel 1930 fu dato l’incarico alle
Officine Reggiane di realizzare una
nuova struttura, portando a sei le
macine e introducendo un sistema di
elevatori e la setacciatura dello
sfarinato. Il complesso è giunto
pressoché intatto fino a noi, vero
gioiello di archeologia industriale, e
ci sorprende per la tecnologia avanzata
che offriva fino agli ultimi anni del
‘900. Il mulino era in azione giorno e
notte ed il lavoro, distribuito su tre
turni, era coordinato da un capo mugnaio
che, con una squadra di operai.
sovrin¬tendeva al funzionamento delle
macchine e al caricamento nei sacchi dei
prodotti della lavo¬razione: farina,
crusca, farinet¬te e mezzi grani. Il
mulino ed il pastifìcio furono una
presenza importante nella vita economica
della Valchia¬venna, grazie al
consistente apporto di manodopera.
Se il Mulino ci porta in un ambiente di
lavoro artigianale, ancora più autentica
appare la lavorazione tradizionale della
pietra ollare, che si pratica qui come
in Valtellina. Roberto Lucchinetti
invita turisti e visitatori a scoprire
il suo laboratorio di lavorazione della
pietra ollare e tessitura tipica di
Piuro, a Prosto di Piuro (Informazioni:
Tel 0343/35905 -
www.pietraollare.com -
Pietraollare@libero.it).
La lavorazione della pietra ollare
Un tempo, tra le antiche attività
tradizionali della bassa Brega¬glia, un
posto di rilievo era occupato dall’escavazio¬ne
e dalla lavorazione della pietra ollare
con cui si produ¬cevano soprattutto
laveggi. “Alcuni ritengono che questi
hanno la proprietà di non tollerare
veleno di sorta nella vivanda che dentro
vi si cuo¬ce, perchè ogni veleno
eventualmente propinatovi verrebbe
neutralizzato durante la bollìtura”. Lo
Scheuchzer scrive nel 1746: “... in
queste pen¬tole di pietra i cibi
cuociono più in fretta e meglio che in
altre fatte in ottone, rame o altro
metallo; inoltre i cibi mantengono la
loro naturale fragranza e non vengono
inquinati da sapori estranei». Roberto
Lucchinettì ha ripreso la tradizione dei
piuraschi di cavare e lavo¬rare la
pietra ollare. Realizza, oltre ai
classici laveg¬gi, calici che
riproducono la forma di uno antico
trovato nella rovina di Piuro, “Furagn”,
che sono reci¬pienti muniti di coperchio
usati per conservare burro, grasso
animale, carni e formaggio. All’inven¬tiva
di questo artigiano sono dovuti servizi
per caffè, recipienti per conservare la
fragranza del caffè macinato e “pigne»
(stufe in pietra) dalle linee eleganti. |