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Inquietudine e grazia della pittura
fiorentina
Testi e foto di Anna Maria Arnesano e
Giulio Badini
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Nella
seconda metà del 1400 Firenze si impose
come epicentro culturale d’Europa, una
città dove operavano artisti di
altissimo livello in tutti i settori
delle arti liberali, capaci di dare vita
a stili e scuole che arricchiranno in
maniera eccelsa la propria terra, ma
anche di esportarne i messaggi e le
valenze. Siamo all’apice del
Rinascimento, un’epoca che vide il
rifiorire dell’arte in senso umanistico
e classico, una rinascita dopo il lungo
buio medioevale, dove l’artista esce
dall’anonimato e dai rigidi schemi
precedenti per esprimere la propria
personalità, dando spazio all’estro
individuale, alla sensibilità e
all’interpretazione soggettiva. La
Firenze dell’epoca è una città
demograficamente importante e
soprattutto ricca, che ricava il proprio
benessere dall’agricoltura del contado,
da una produzione artigianale
qualificata come quella dei tessuti, del
pellame e dei mobili, del commercio e
delle finanze, con la nascita delle
prime banche. La regge un’oligarchia di
famiglie danarose, illuminate e
raffinate, dove quella dei Medici è
soltanto la più importante, che faranno
a gara per accordare protezione e
committenze agli artisti e per abbellire
gli edifici pubblici e le proprie
dimore, divenute cenacoli di
intellettuali. I nomi di Alberti,
Botticelli, Brunelleschi, Gozzoli,
Leonardo, Lippi, Masaccio, Masolino,
Michelangelo, Paolo Uccello, Piero della
Francesca, Pollaiolo, Raffaello,
Sansovino, e Verrocchio, nonché di tanti
altri, ne costituiscono un’eloquente
testimonianza.
Oggi Firenze dedica una grande mostra,
ospitata nelle belle sale di Palazzo
Strozzi, a due dei massimi pittori di
quell’epoca, Sandro Botticelli e
Filippino Lippi, due artisti dove stile
pittorico e percorso di vita si
intrecciano parecchio. “L’inquietudine e
la grazia nella pittura fiorentina del
Quattrocento” recita il sottotitolo
della rassegna, che rimarrà aperta
almeno fino all’11 luglio (ma ne è già
prevista una dilazione fino a fine
estate). Grazia perché il ‘400 scelse la
grazia, vale a dire l’eleganza
intellettuale e la squisita
rappresentazione dei sentimenti, come
suo emblema estetico; Inquietudine
perché il secolo – che ha visto la
scoperta dell’America ma anche la caduta
dell’Impero Romano d’Oriente, lo sbarco
dei turchi ad Otranto e la loro
penetrazione ad est fino al Tagliamento
– a Firenze si chiude sotto il segno
della precarietà e dell’angoscia con le
congiure aristocratiche, la cacciata dei
Medici, l’arrivo dei francesi di Carlo
VIII e l’incombere delle minacce
apocalittiche di Girolamo Savonarola,
carismatico e tragico profeta
dell’eclisse degli ideali umanistici. |
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60
capolavori in mostra
Per gli appassionati d’arte,
l’esposizione fiorentina costituisce
un’occasione unica, forse irripetibile,
da non perdere. Infatti si tratta di ben
60 capolavori provenienti dai più
importanti musei del mondo e da
collezioni private, riuniti per la prima
volta: per Botticelli sono 29 opere che
coprono tutto l’arco della carriera, la
maggior raccolta di dipinti e disegni
mai messa assieme; altrettanto vale per
i 16 quadri di Lippi, con uno
praticamente sconosciuto anche agli
storici d’arte: si tratta di una
Maddalena penitente sparita nel nulla
alla fine del 1800 e ricomparsa di
recente nell’appartamento di un
collezionista di New York. E a fare da
corollario e da confronto qualche altra
opera di artisti contemporanei, come
Leonardo e Piero di Cosimo. Se può
essere casuale la concomitanza con il
quinto centenario della morte di
Filippino Lippi, casuale non risulta
invece affatto la scelta della sede.
Palazzo Strozzi, abitazione
quattrocentesca della ricca famiglia
omonima di banchieri (da cui deriva
anche l’aggettivo non proprio
lusinghiero di strozzino), costituisce
infatti l’archetipo e l’emblema del
palazzo nobiliare fiorentino in epoca
medicea. Nel caso di Filippino si tratta
poi di un vero e proprio ritorno a casa:
alcune delle opere esposte gli furono
proprio commissionate dagli Strozzi per
adornare la propria dimora, che egli ben
conosceva e frequentava. Un primato la
mostra lo ha già conseguito, ancora
prima di aprire: i 500 milioni di euro
di valore assicurativo per ottenere da
musei e privati le opere da esporre; la
sola Natività mistica di Botticelli,
arrivata dalla National Gallery di
Londra, è stata valutata 55 milioni. |
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Uno stile pittorico simile
L’abbinamento di questi due artisti
risulta piuttosto ovvio: il loro stile
pittorico si presenta – pur con dovute
differenze – assai simile perché
identici erano i maestri ispiratori, il
contesto ambientale e la visione
culturale, così come le loro vite si
incrociarono parecchie volte. Filippino
Lippi (1445-1510) era figlio d’arte, ma
la cosa – almeno in teoria – non avrebbe
dovuto affatto favorirlo. Suo padre
infatti era Filippo Lippi (1406-1469),
noto pittore fiorentino protetto dai
Medici, che aveva avuto come maestri
Masaccio e Brunelleschi; sue opere
principali sono gli affreschi nei duomi
di Prato e di Spoleto e vari quadri di
Madonne in cui si nota l’influenza
dell’Angelico e che ispirarono parecchi
pittori dell’epoca per quell’ideale di
bellezza che li caratterizza. Si dà però
il caso che Filippo Lippi, oltre che
pittore, fosse anche frate carmelitano,
con precedenti non proprio fulgidi se fu
cacciato da ben due conventi per
malversazioni. Ma il massimo lo
raggiunse quando, nominato cappellano
del convento di Santa Margherita a
Prato, per intercessione di Lorenzo il
Magnifico, suo protettore e committente,
fuggì con una giovane e bella monaca che
gli era stata concessa da utilizzare
come modella per una pala d’altare, e
dall’unione nacquero Filippino e una
bambina. Lo scandalo dovette essere
notevole, se ne parlarono parecchio
tempo dopo anche Leonardo e il Vasari,
ma fino ad un certo punto, perché pochi
anni dopo entrambi ripresero i voti. A
quell’epoca a Fra Savonarola non
mancavano certo le occasioni per
lanciare i suoi anatemi. Il giovane
Filippino seguì il padre, forse più
nella bottega da pittore che non in
convento, imparò l’arte e divenne amico
di uno dei più promettenti allievi del
padre, Sandro Botticelli (1445-1510),
che seguirà poi come allievo quando
questi aprirà una bottega propria. La
vita tra questi due artisti continuerà a
scorrere parallela: committenze analoghe
da parte degli stessi mecenati, per
entrambi una trasferta di lavoro a Roma
(chiesa di Santa Maria della Minerva per
Lippi, Cappella Sistina per Botticelli)
e più o meno analoga adesione alla
riforma moralizzatrice predicata da
Savonarola.
Se le matrici didattiche e umane sono
state le stesse, i risultati artistici
non potevano che essere analoghi. La
pittura di Botticelli corrisponde
perfettamente al momento più intenso e
vivace dell’Umanesimo fiorentino: la
bellezza non risulta mai fine a sé
stessa, considerata come una
manifestazione umana e naturale, ma come
l’esaltazione di una bellezza più alta,
ideale, fuori dal tempo e dallo spazio
terreno. Il disegno, netto e armonioso,
chiude il colore in zone esatte,
limpidissime: una luce vetrigna circola
tra le figure accentuando l’impressione
di irrealtà e di distacco. In Filippino
la cura nel raffigurare i particolari
naturalistici e la sensibilità nel
fissare i tratti dei personaggi gli
valsero fama anche di ottimo
ritrattista. Pubblico e critica hanno
fino ad oggi privilegiato il primo,
perché la sua grazia risulta più facile,
immediata, perché le sue belle donne
seminude offrono un misto di erotismo e
cultura. Ma il grande merito della
rassegna fiorentina è anche quello di
aver contribuito a rivalutare il
secondo: la sua maestria si nota nelle
capacità tecniche altissime, nella
maestria del tocco con cui rende gli
incarnati, le stoffe, i marmi,
nell’abilità con cui disegna i dettagli,
nella capacità di assorbire e
rielaborare esperienze artistiche
diverse. Entrambi ebbero il merito di
dare vita ad uno stile nuovo, ornato, di
grazia infinita, fatto di figure esili,
capelli fluttuanti, vesti trasparenti e
movimenti leggiadri. |
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Informazioni Utili
Dove dormire: Hotel Helvetia &
Bristol, via dei Piscioni 2, Tel.
055/266511-fax.055/288353 -
reservation.hbf@royaldemeure.com
-
www.royaldemeure.com
Collocato nel centro storico di Firenze,
fra Piazza della Repubblica e via
Tornabuoni a due passi dal Duomo e a 500
metri dalla stazione centrale,
esattamente di fronte a Palazzo Strozzi,
dove è allestita la mostra di Botticelli
e Lippi. La storia di questo albergo,
pieno di fascino ed eleganza, risale
alla seconda metà dell’800 e deve la sua
fama a illustri personaggi italiani come
Luigi Pirandello, Enrico Fermi, Gabriele
D’Annunzio, Eugenio Montale, Eleonara
Duse e Giorgio De Chirico, nonché ad
aristocratici inglesi in visita a
Firenze. Qui, oggi come allora, si
respira un’atmosfera d’altri tempi: nei
saloni come nelle camere, tutte diverse
una dall’altra e arredate con mobili
antichi, ma soprattutto nell’esotico
“Giardino d’Inverno”, punto d’incontro
dei personaggi di cultura dell’epoca. In
occasione della mostra d’arte più
importante dell’anno, l’Hotel offre un
pacchetto molto interessante: per un
soggiorno di due notti per due persone
in camera doppia con prima colazione a
buffet, spumante e fiori all’arrivo,
quotidiano, due biglietti per la mostra
e un terzo letto per bambini fino a 12
anni, si spendono 390 euro. L’albergo
dispone anche di un raffinato
ristorante.
Come arrivare: In auto,
provenendo dall’Autostrada A1, uscire al
casello ‘Firenze Certosa’. Seguire
sempre le indicazioni ‘Centro’ (circa 7
km). Arrivati al piazzale di Porta
Romana, prendere per via Romana,
proseguire diritto fini a via Maggio.
Attraversare Ponte Santa Trinità e
proseguire dritto per via Tornabuoni.
Arrivati in piazzetta Antinori girare a
destra e poi ancora la seconda a destra,
via dei Vecchietti. In fondo alla strada
svoltare nuovamente a destra per via
Strozzi, la prima a destra è via dei
Piscioni, la strada dove è collocato
l’hotel.
Per informazioni: Firenze,
Palazzo Strozzi - Piazza Strozzi, fino
all’11 luglio.
www.botticellipalazzostrozzi.it
- Tel.055 2645155. Orari: tutti i giorni
dalle ore 9.00 alle ore 21.00; venerdì,
sabato e domenica fino alle ore 23.00.
Accesso in mostra consentito fino a 45
minuti prima dell’orario di chiusura
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