Situata nella parte meridionale del
Messico, la penisola dello Yucatan è
diventata da qualche tempo la maggior
meta turistica del paese grazie alle
bellezze naturalistiche e
paesaggistiche, all’elevata ricettività
alberghiera, al clima e alla presenza di
interessanti siti archeologici
mesoamericani, appartenenti in
particolare alla cultura maya: una delle
più importanti del continente americano,
che ha lasciato significative
testimonianze artistiche e
architettoniche del proprio perduto
splendore. Quella maya è una civiltà di
grande fascino per l’estensione dei suoi
agglomerati urbani, ubicati entro
intricate foreste tropicali, la
grandiosità dei suoi monumenti, la
raffinatezza dei suoi gioielli, la
crudeltà dei suoi riti e il mistero
legato all’improvviso dissolvimento. Ma
quel mondo non è scomparso del tutto:
sopravvive ancora oggi negli indios, i
cui tratti somatici si riconoscono in
quelli delle antiche sculture, che si
sono ritirati a vivere nelle zone
montuose più impervie, conservando
costumi e tradizioni di un tempo, che
nemmeno la repressione dei conquistatori
spagnoli è riuscita a cancellare. Come
il sincretismo religioso, che agli
aspetti formali del cristianesimo
mischia elementi decisamente pagani.
Molto spesso i vacanzieri che limitano i
loro soggiorni alle belle spiagge
caraibiche ignorano che alle spalle di
ombrelloni, alberghi e discoteche si
estende un vasto territorio ricco di
peculiarità di vario genere, che va da
quello archeologico e naturalistico a
quello etnografico. Tutta la penisola
yucateca è infatti uno scrigno di tesori
che non finisce mai di sorprendere, dove
a farla da padrone sono i famosissimi
siti archeologici. Da qualsiasi parte ci
si trovi, si possono raggiungere in
giornata le maggiori città maya. Chichén
Itzà, situata su un’area di 300 ettari,
è oggi considerata la più imponente e
monumentale; probabilmente fu anche la
città più importante dello Yucatan dal
X° al XII° sec. Uxmàl, è definito il
sito più esteso e raffinato
dell’architettura Puuc: basti solo
pensare alla piramide dell’indovino,
diversa da qualsiasi altra. Cobà, il cui
nome significa ‘color cenere’, dovuto
probabilmente al colore delle acque del
lago che la circondano, raggiunse il suo
massimo splendore nel tardo periodo
classico tra il 700 – 900 d.C., quando
era abitata da oltre 55 mila indios.
Purtroppo il sito, che un tempo si
estendeva su 70 kmq e comprendeva circa
ventimila strutture, attualmente è in
gran parte avvolto dalla giungla. Ma la
piramide Nohochmul, la più alta dello
Yucatan, è ancora lì, con i suoi 42
metri d’altezza e i suoi 120 scalini. Ek
Balam, l’ultima e recente scoperta alle
spalle della Riviera Maya, offre la
seconda Acropoli per estensione della
regione. Infine Tulum, sorta in epoca
tarda nel periodo maya-tolteco, che fu
la sola ad essere vista dai
conquistatori spagnoli, che ne
decretarono anche la fine. Si tratta del
sito più suggestivo, in quanto unica
città maya affacciata sul Mar dei
Caraibi. La sua posizione a picco sul
mare, la bellezza dei monumenti,
l’azzurro intenso delle acque e la
spiaggia dalla sabbia bianchissima ne
fanno uno scenario di grande
suggestione. In alcuni di questi luoghi
ogni anno vengono organizzate
manifestazioni folcloristiche, con
l’intento di far rivivere le antiche
tradizioni maya e dove il visitatore può
ammirare gruppi vestiti nei
coloratissimi costumi di un popolo che
non si è mai estinto. |
I Maya
Quella dei maya è la più antica delle
tre grandi civiltà sorte in epoca
preispanica nel Mesoamerica, che
precedette di diversi secoli i più
famosi imperi azteco e inca. Le prime
tracce di una cultura autoctona nella
penisola messicana dello Yucatan, nel
Guatemala, Honduras e Belize risalgono
al primo millennio a.C., ma fu tra il
250 e il 900 d.C. che questa civiltà
toccò il proprio apogeo, per dissolversi
poi piano piano sotto la spinta di
feroci guerre intestine, di crisi
ecologiche e di invasioni, tanto che
all’arrivo dei Conquistadores la civiltà
maya era già estinta da tempo.
Sviluppatasi in un territorio piuttosto
vario, che alterna elevate montagne a
foreste tropicali e lagune bagnate da
tre mari, la cultura maya costituiva il
denominatore comune per una miriade di
città-stato autonome e spesso in
conflitto tra loro, che non diedero mai
vita ad un impero unitario ma al massimo
ad alleanza momentanee. I “Greci
d’America”, come vengono definiti,
furono un popolo di grandi
contraddizioni: da un lato raggiunsero
un livello culturale e scientifico assai
elevato, dall’altro possedevano una
tecnologia rimasta ferma all’età della
pietra. Grandi matematici e astronomi,
senza l’ausilio di alcun strumento
conoscevano le fasi lunari, i moti di
stelle e pianeti e sapevano prevedere le
eclissi. Il loro complesso calendario,
di 365 giorni, era in grado di risalire
nel tempo per oltre 60 mila anni. In
compenso non conoscevano la metallurgia,
i loro strumenti si limitavano a
diaspro, selce e ossidiana, non avevano
animali domestici – se non il cane – né
possedevano animali da soma, conoscevano
la ruota ma non la utilizzarono mai per
applicazioni pratiche. Le pietre con cui
edificarono le enormi piramidi sacre e
gli altri monumenti pubblici e privati
delle loro monumentali città vennero
tutte trasportate, anche da parecchio
lontano, totalmente a mano, e gli
intensi commerci si svilupparono su
barche lungo fiumi e mari, oppure via
terra a dorso d’uomo. Eppure possedevano
una fitta rete di strade lunghe e
larghe, per giunta sopraelevate di
diversi metri per evitare i ristagni
d’acqua. Con strumenti primitivi
edificarono costruzioni sublimi, capaci
di sfidare il tempo e la vegetazione,
con un’architettura complessa e
peculiare, pur se priva di un elemento
fondamentale come l’arco, ma produssero
anche scultura, pittura, gioielleria e
ceramica estremamente raffinate e di
intensa espressività. Quelle che noi
oggi visitiamo ammirati non erano città
residenziali, bensì centri del potere
politico, religioso, culturale e
militare. La popolazione viveva entro
semplici capanne di paglia in villaggi
sparsi nel territorio, impegnata nella
produzione agricola, nell’artigianato,
nella pesca e nel commercio. La dieta
maya si basava per oltre il 90 per cento
su mais e verdure, mentre soltanto il
resto era dovuto a pesce e carne
proveniente dalla caccia. La società era
strutturata in caste più o meno rigide:
al vertice il re, i sacerdoti, gli
scribi e i soldati, poi il popolo e gli
schiavi. La religione permeava ogni
attimo della vita pubblica e privata: si
basava su un pantheon di divinità
estremamente complesso, ai quali
tributare sacrifici anche umani.
Possedevano pure un complicato alfabeto
geroglifico: purtroppo la quasi totalità
dei testi perduti o distrutti dai
conquistatori spagnoli ci ha privato di
molte preziose conoscenze di dettaglio
su una delle grandi civiltà del passato.
Il viaggio
Un possibile itinerario che si sviluppa
attraverso Yucatan, Chiapas, Campeche e
Quintana Roo – i quattro stati in cui è
divisa politicamente la penisola – offre
uno straordinario spaccato attraverso i
diversi aspetti ambientali e
paesaggistici di questo variegato
territorio: dalle sterminate spiagge
caraibiche con la loro eccezionale fauna
subacquea all’intricata foresta
tropicale, dai siti maya che spuntano
dalla giungla come dei miraggi alle
riserve naturali. Natura e archeologia
quindi s’intrecciano in questo viaggio
di 14 giorni in fuoristrada interamente
dedicato alla scoperta di località
conosciute o poco note, in quanto
ubicate in luoghi di non facile accesso,
ma capaci di regalare altrettanti
emozioni. Alcuni pernottamenti sono
previsti in strutture gestite da
comunità dei lacandoni, indios
discendenti dai maya che vivono isolati
nell’impenetrabile Selva Lacandona, la
stessa che protegge da anni il
subcomandante Marcos e i suoi
guerriglieri zapatisti.
Il percorso parte da Merida, capoluogo
dello Yucatan e graziosa città coloniale
che custodisce la più antica cattedrale
del nuovo mondo. Si prosegue poi per i
centri maya di Dzibilchaltùn, un
insediamento con 8500 costruzioni ed
abitato ininterrottamente per almeno tre
millenni, di Chichèn Itzà, epicentro
dello Yucatan maya e di Uxmal, fulcro
culturale e religioso, dove
l’architettura si è espressa al meglio.
Si raggiunge quindi Palenque, una delle
maggiori città maya, estesa su una
superfice di 10 kmq ma in gran parte
ancora sepolta dalla vegetazione, per
salire ai 2.000 metri della Sierra a S.
Cristobal de las Casas, capoluogo del
Chiapas e vero gioiello di architettura
coloniale. Tutta la zona è circondata
dai meravigliosi scenari della natura
tropicale d’alta quota, come la riviera
di Agua Clara, le splendide cascate di
Agua Azul e le lagunas di Montebello.
Laghetti di montagna incastonati tra
fitte foreste di conifere e il sito maya
di Chinkultic, completano l’insieme. Si
passa quindi nella Selva Lacandona,
enorme e selvaggia area naturale, per
visitare in barca la riserva di Montes
Azules, caratterizzata da una
ricchissima flora e dalla presenza di
varie specie animali, soprattutto
uccelli. Risalendo in piroga il rio
Usumacinta, che segna il confine tra
Messico e Guatemala, si raggiunge
Yaxchilan, altro prezioso e malnoto
insediamento maya celato nella foresta e
tuttora usato dagli indios come centro
cerimoniale. Il viaggio continua
catapultandosi nella riserva della
biosfera di Calakmul, protetta per la
sua peculiarità dall’UNESCO, dove su una
superficie di 700 mila ettari vivono un
gran numero di uccelli e di mammiferi,
tra cui giaguari, ocelot, scimmie
urlatrici, tigrilli, tapiri e
formichieri, e dove emergono dalla
vegetazione altre significative rovine
maya del periodo classico. Superata
Chetumal, piacevole cittadina di
frontiera con il Belize, si arriva alla
laguna Guerrero, dove in barca si
potranno ammirare orchidee selvatiche,
coccodrilli, delfini, lontre marine,
resti maya sommersi e soprattutto i
lamantini, simpatici e curiosi
trichechidi in via d’estinzione. Per
finire si costeggia quindi, da sud a
nord, tutta la stupenda costa del Caribe
messicano fino a Cancun, capitale del
turismo balneare nella penisola, non
senza aver compiuto una sosta a Tulum,
l’unico sito maya affacciato sul mare. |